Foto pagina Facebook don Andrea Bigalli

FIRENZE – «Una vicenda inquietante che mette in luce come una parte del mondo imprenditoriale toscano corra il rischio di sentirsi sedotto da alcune possibilità: avere servizi a costo più basso aumentando il livello di speculazione. E così il profitto diventa l’unica dimensione che si ricerca senza tener conto che il lavoro comporta sviluppo, attenzione ai lavoratori e all’ecosistema per perseguire il bene comune».

Commenta così don Andrea Bigalli, referente regionale di Libera Toscana, la recente inchiesta sulla presenza della ‘ndrangheta in Toscana. Interpellato da agenziaimpress.it, don Bigalli spiega che si tratta di una «vicenda che assume caratteristiche di gravità ‘evolutiva’, da un lato c’è un quadro che conosciamo molto bene, dall’altro un’involuzione. Che nella zona del Cuoio ci fossero movimenti del genere si sa da tanto tempo, la Magistratura si era già mossa e aveva fatto inchieste. Legambiente da tempo ci segnala che ci sono movimenti. Che i rifiuti tossici toscani se ne vanno altrove è un fatto acquisito da tempo. Penso alla Terra dei Fuochi, lo sapevano bene quegli industriali che hanno sottoscritto contratti, o hanno fatto tutto a nero, per smaltirli».

«Zona del Cuoio attenzionata da tempo»

Nello scenario toscano, secondo don Bigalli, «l’infiltrazione ha avuto un suo progresso fino a far sì che le mafie siano diventate interlocutrici su alcuni passaggi. Che in quelle zone i rifiuti fossero smaltiti a costi troppo bassi si sapeva e gli imprenditori dovevano aprire gli occhi». Grazie anche al Rapporto annuale delle Ecomafie stilato da Legambiente e sostenuto da Libera, «la zona del Cuoio era attenzionata da tempo, ma la novità emersa grazie all’inchiesta con sorprendente chiarezza è da un lato il rapporto tra taluni produttori e mondo della ‘ndranghetra e dall’altro che questo rapporto sia un tramite verso il mondo politico su cui pensavamo che, in Toscana, questa dinamica non fosse in atto in modo così esteso. E’ notizia di soli pochi giorni fa un episodio avvenuto in provincia di Livorno, a San Vincenzo: se 4/5 della giunta finisce agli arresti, in un altro contesto ci sarebbe stato lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa. Fosse successo in Campania sarebbe stato ovvio».

«In Toscana mondo della politica riottoso ad ammettere infiltrazioni mafiose»

E proprio qui si insinua il dubbio di una Toscana troppo trincerata dietro la sua idea di territorio ‘felix’, in cui la malavita e le storture della società non arrivano. Una facciata che poi stride con la realtà e con i troppi timori di ammettere infiltrazioni mafiose ben radicate. «Le Forze dell’Ordine e la Magistratura lo hanno sempre ammesso, nella politica c’è questa riottosità di fondo ad ammetterlo. Noi da tempo con Legambiente e Anci proponiamo alle pubbliche amministrazioni corsi di formazione per tecnici amministrativi, moduli su beni confiscati, sui meccanismi di infiltrazione mafiosa e contrasto alla corruzione. C’è un forte bisogno di formazione etica che può mettere in crisi chi è disponibile a farsi corrompere e fornire strumenti utili a chi fa onestamente il proprio lavoro: se arriva una persona con una valigetta piena di soldi, bisogna provare a capire da dove vengono. Un esempio su tutti: nel centro di Firenze da tempo si assiste a un meccanismo di acquisizione immobiliare, non si sa bene da parte di chi,  che sta cominciando ad allertare la pubblica amministrazione».

«Siamo destinati a sconfiggere la malavita»

Quindi quella contro la malavita sembra proprio una sfida già persa? «Assolutamente no. Noi siamo allertati da tempo, c’è da scalare una piramide di vetro, ma sono certo che siamo destinati a sconfiggere la malavita. Se si riesce a coalizzare e a creare sinergia tra le forze positive di questo Paese – conclude don Bigalli – , siamo nella condizione di marginalizzare la criminalità».

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