vizioli«C’è un clima di grande incertezza attorno alla legge Delrio: c’era bisogno di fare questa riforma oggi quando c’è l’intenzione di approvare una riforma più ampia che cancellerà le Province nel giro di un anno?». A dirlo è Nicola Vizioli, docente di istituzioni di diritto pubblico dell’Università di Siena intervistato da agenziaimpress.it sulla legge recentemente approvata che svuota le Province delle loro funzioni, ma senza abolirle del tutto (leggi)

Uno spot per l’opinione pubblica «E’ una legge un po’ strana – prosegue il professor Vizioli – sembra quasi uno spot per l’opinione pubblica, fumo negli occhi degli elettori per far vedere che il Governo si sta muovendo per diminuire i costi della politica e per eliminare gli enti considerati, a torto o a ragione, inutili». L’esempio più concreto? «Si parla di riduzione dei costi con lo svuotamento delle Province – spiega il docente  -, costi che derivano dal personale che lavora in questi enti e che, con la riforma, non saranno licenziati, come è giusto che sia e da competenze in carico alle province che non spariranno ma saranno smistate a Comuni e Regioni. Il risparmio reale sarà solo nelle indennità dei presidenti, degli assessori e dei consiglieri provinciali». Un dettaglio che la comunicazione politica evita accuratamente di mettere in evidenza. «Le Province sono diventate il bersaglio di vere e proprie campagne di stampa – aggiunge Vizioli –  ma io mi chiedo: tra il mantenere tutto come era e cancellare le Province, non si poteva pensare a una soluzione di mezzo come la rivitalizzazione del loro ruolo? Io penso che nelle regioni più grandi si sentirà la necessità di un ente intermedio tra Comuni e Regioni».

Quando le Province furono istituite Una grande fretta per svuotarle, ma allora perché due secoli fa si è sentita la necessità di istituirle? «Come le conosciamo oggi le Province nascono nel periodo napoleonico – spiega Vizioli – e infatti abbiamo importato il modello dalla Francia come esempio di suddivisione del territorio dello Stato che è la base di azioni di poteri statali che vengono esercitati sui territori. Ne sono un esempio l’ ufficio delle imposte, sovrintendenze e Prefetture. Con il tempo le Province sono anche diventate organi con una rappresentanza elettiva. Nella Costituzione del 1947 erano previsti 3 livelli territoriali: le Regioni, le Province e i Comuni, tutte e tre istituzioni deboli con competenze limitate per il timore dei Costituenti di una frammentazione eccessiva. Quindi c’è stato uno sguardo aperto verso l’autonomia ma con cautela. La svolta, secondo me, si ha con la riforma costituzionale del 2001 che da un lato potenzia, almeno sulla carta, la competenza legislativa delle Regioni  su settori molto più ampi rispetto al passato e dall’altro riconosce il Comune come centro di svolgimento dell’attività amministrativa. Comuni e  Regioni si rafforzano e la Provincia resta, come diceva Manzoni, un vaso di coccio tra vasi di ferro. E questa è la percezione che hanno cittadini e forze politiche. Se si ferma qualcuno per strada e gli si chiede chi è il presidente della Regione o il sindaco, tutti lo sanno. Se si chiede chi è il presidente della Provincia in molti non sanno rispondere.  Questo ha comportato un approccio diverso anche delle forze politiche:  il politico che è considerato più bravo  e capace diventa sindaco del capoluogo, non presidente di Provincia. Lo stesso premier Matteo Renzi è stato prima presidente della Provincia di Firenze poi sindaco, non viceversa – conclude Vizioli –. La Provincia è vista come un ente non particolarmente utile, senza tantissime competenze e spesso sono anche esercitate male. Ecco perché sta subendo questa sorte».

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