Ma chi continua a parlare di legami da salvaguardare del Monte con il territorio senese, ci fa o ci è? Perché si può auspicare, in buona fede, che il disastro della banca senese non travolga i dipendenti; si può perfino sperare che la Direzione Generale rimanga a Siena. Così, per far finta. Però non andiamo oltre, perché rileggere gli avvenimenti degli ultimi giorni, fa capire come la banca ex senese faccia ormai parte di un altro mondo. E che intorno alla banca ex senese accadano cose dell’altro mondo.

INCONTRO ORGANIZZATO DAL MONTE DEI PASCHI DI SIENA SULLA PREVIDENZA
Fabrizio Viola e Alessandro Profumo

Prima cosa dell’altro mondo È surreale, appare appunto una cosa dell’altro mondo, che il primo Amministratore Delegato della storia di Mps, Fabrizio Viola, se ne vada con 3 milioni di buonuscita, dopo aver guadagnato oltre 100mila euro al mese negli ultimi tre anni. Durante il suo mandato, il titolo Mps è crollato in Borsa fino al minimo storico raggiunto ieri con € 0,22. Alla fine dell’era-Viola la banca capitalizza 654 milioni, cioè otto volte meno la cifra dell’aumento di capitale di 5 miliardi prevista nel piano-Viola, dopo gli aumenti di capitale per 8 miliardi degli anni passati. Solo da gennaio 2016 il titolo Mps ha perso l’80% del suo valore. Con questi numeri, i riferimenti etici della lettera di addio di Viola ai dipendenti, appaiono ridondanti, quanto meno come la sbandierata delle Contrade a Rocca Salimbeni.

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Fabrizio Viola e Giuseppe Mussari

Seconda cosa dell’altro mondo La telefonatina del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan al Presidente Mps, Massimo Tononi – poi dimessosi – può essere sinteticamente e rozzamente riassunta così: «Levatevi di torno perché Jp Morgan non vi vuole più». Jp Morgan, che pare un personaggio di Dallas, è in realtà la banca d’affari americana che guida il consorzio di cosiddetta garanzia per l’aumento di capitale. E alla quale il Governo pare raccomandarsi mani e piedi per il caso Mps. Dopo aver constatato la ovvia freddezza del mercato rispetto all’aumento di capitale di una banca europea che fa performances negative da anni, al centro del più grande scandalo irrisolto dell’economia europea, Jp prova quantomeno a spargere il fumo negli occhi della discontinuità. La Banca d’Italia lo fece con MussariVigni, in una riunione romana, nel novembre 2011, in cui fu comunicato ai due che dovevano andarsene. Fu usato proprio quel termine – necessità di discontinuità – che poi è diventato la foglia di fico della politica senese, e soprattutto del principale artefice politico della disfatta di Mps, il Partito Democratico. E guarda caso, secondo quanto dichiarato dal ministro Padoan, è stato il suo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, appunto anche segretario del Partito Democratico, a dirgli di procedere con le pressioni per la “sgombrata” dei vertici montepaschini.

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Fabrizio Viola e Massimo Tononi

Ma la cosa dell’altro mondo è che il Governo appaia, in questa vicenda, come un  mero esecutore di un diktat della banca d’affari americana. Pragmaticamente prono verso chi ha i soldi, così come pragmaticamente prono verso chi – la Bce – pare dettare le regole di un sistema, globale e non solo europeo, che ormai risponde solo alle leggi di chi ha quei soldi che le banche europee non hanno più. Cose, intendiamoci, normali, nell'”altro mondo”, quello in cui il vero potere ce l’ha l’alta finanza. E i politici eletti dai cittadini contano molto poco. Così che di democrazia, nel mondo, ne rimane davvero poca. E in questo “altro mondo, se il “signor” Jp Morgan decide di salvare Mps, si deve sottostare al suo gioco. Anche quanto ai magheggi delle poltrone.

Tutto sommato, facendo i dovuti distinguo, anche Bankitalia nell’autunno del 2011, esplicitò la necessità dell’accantonamento dei vertici Mps in circostanze analoghe: nonostante l’aumento di capitale del 2011, quello da 3 miliardi che uccise la Fondazione, il Monte fu resuscitato con 2 miliardi di prestito di emergenza da Bankitalia. Che poi, però, pretese il “tutti a casa”.

Il Dg di Banca Intesa Sanpaolo Marco Morelli
Marco Morelli

Terza cosa dell’altro mondo. Ecco, appunto, le poltrone. Avrà pure un valore simbolico che a sostituire Viola, come secondo amministratore delegato della storia del Monte, sia Marco Morelli, di cui, da Wikipedia, riportiamo, due elementi di un lungo e anche prestigioso curriculum: «Nel 1994 inizia la sua esperienza in JP Morgan Ltd inizialmente a Londra e poi in Italia arrivando ad occupare le posizioni di direttore generale per l’Italia, Chairman del management committee per l’Italia di JP Morgan e Membro del Comitato Esecutivo di JP Morgan Europe; nel settembre 2003 entra nel Gruppo Banca Monte dei Paschi di Siena, dove resta fino al gennaio 2010, come amministratore delegato di MPS Finance Banca Mobiliare SpA. Nel 2004 diviene amministratore delegato di MPS Banca per l’Impresa spa e successivamente di MPS Capital Service SpA. Nel 2006 assume la carica di vice direttore generale e deputy CEO del gruppo Banca Monte dei Paschi di Siena. Contestualmente assume anche la carica di Presidente di HOPA Spa per conto delle banche azioniste fino al 2007 quando presenta il piano di ristrutturazione e cessione dell’azienda. Dalle inchieste che hanno riguardato la Banca di Monte dei Paschi di Siena nel 2012-2013, è emersa la sua estraneità alle vicende oggetto di contestazione (come risulta dai decreti di archiviazione emessi nei suoi confronti)».

L'ed dg di Banca Mps Antonio Vigni e l'ex presidente Giuseppe Mussari
Antonio Vigni e Giuseppe Mussari

Ecco, Wikipedia informa anche che Morelli non è mai stato indagato per le vicende della Rocca. Ha pagato solo 208.500 euro di multa a Bankitalia per comunicazioni non regolari. Bene, siccome risulta anche da verbali giudiziari che ai tempi dell’acquisizione di Antonveneta, Morelli abbia espresso a Antonio Vigni la sua forte contrarietà all’operazione, sarebbe bello che ora facesse outing e ci raccontasse la sua verità su quell’affare che ha messo in ginocchio la banca di cui è stato vice Dg, mentre il suo superiore era Antonio Vigni e presidente Giuseppe Mussari. Ma queste sarebberoro cose dell’altro mondo. Inimmaginabili.

E avrà pure un valore simbolico il nome che circola per sostituire Massimo Tononi alla presidenza di Mps, presumibilmente dopo l’assemblea di approvazione dell’aumento di capitale. Quando, dipenderà dalla data del referendum, perché Padoan ha già detto che sarà il caso di chiedere al mercato i soldi per Mps, dopo il referendum. In ogni caso il nome più gettonato è quello di Fabrizio Saccomanni, che era direttore generale di Bankitalia (dall’ottobre 2006 al 2013 quando diventò ministro dell’economia del Governo Letta)  mentre la medesima approvava il piano di acquisto di Mps per Antonveneta. E così si chiude il cerchio. Cose dell’altro mondo.

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