Drappellone Dimitrovdi Roberto Barzanti

Nel Drappellone destinato a premiare la Contrada vincitrice del Palio d’agosto la Madonna deve essere raffigurata – perbacco! – nelle forme attribuite dalla tradizione all’Assunta. Al di là della prescrizione enunciata all’articolo 93 del regolamento della Festa, l’immaginario senese non ammette deroghe. A colei che ebbe il privilegio unico – dogmaticamente sancito nel 1950 – di passare dal sonno alla celeste eternità in anima e corpo, evitando la macerazione della carne, fu dedicata la cattedrale ed è invocata quale materna e provvida “advocata senensium”: è dedicata a lei la solenne celebrazione di metà agosto, e non è proprio il caso di dimenticarla.

L’assenza è ingiustificata Così, come se non bastassero le ordinarie discussioni su fantini e cavalli, ecco divampare la polemica sull’opera eseguita dal bulgaro Ivan Dimitrov, che ha ignorato i dettami dell’iconografia e ha rifatto pari pari, in garbato kitsch, la venerata patrona, traendola dalla “Maestà” di Simone Martini del Palazzo Pubblico, che con un’Assunta non ha nulla a che fare. Divampare è dir troppo. I rimbrotti più severi son venuti da sacerdoti-correttori di Contrada, ma affiorano anche in chi non è da oggi persuaso che sia valsa la pena disincagliare l’ambito stendardo dai moduli di una serialità manierata e inespressiva. Con sistematicità dagli anni Settanta del ’900 sono stati invitati a cimentarsi con questo strano formato a finestra che è il “pallium” autori non adusi al fortunato repertorio degli stilemi ereditati da un’affermata consuetudine e si è andata infittendo una galleria di visioni sorprendenti, di paesaggi che hanno sconvolto l’araldica consacrata. Inevitabile che per questi tragitti di una pur prudente modernità siano sorti malintesi e inciampi. Assecondare la laicità di una pittura affidata alla libera invenzione di artisti attivi su scala internazionale, credenti e non credenti, ognuno legato ad una sua poetica da sviluppare con coerenza, significava abbandonare il culto di segni non più in grado di parlare al mondo contemporaneo: senza, però, che questa scommessa si traducesse in una mancanza di rispetto verso simboli e icone che chiedono di essere ripresentati in termini di inedita autenticità, associando residenti e stranieri, appartenenti da sempre all’universo cittadino o testimoni rapiti da uno spettacolo imprevedibile.

I precedenti La Madonna ha avuto le sue traversie da affrontare: non più quietamente a riposo su candidi nuvoloni come nel purista Ottocento, o vestita in eleganti e affinate fogge liberty. Memorabili certe ardite soluzioni, già al limite del canone. Dario Neri il pittore delle crete amato da Gadda, pensò (1921) un’Assunta in passo di danza tra gioiosi angioletti. Bruno Marzi nel 1952 la disegnò bianca, seduta su un cuscino in mezzo ad angioli in compunta e disciplinata adorazione. E quante altre sarebbero da citare di Madonne che son restate in mente e sembrano declinate al pari di litanie: uguali nel cadenzato ritmo e diverse nell’implorante accentazione. Dopo la cesura degli anni Settanta non son mancate prove che hanno lasciato a bocca aperta. Renato Guttuso si limitò ad un ritratto di donna dal sotto in su, realistico e denso d’aria. Corrado Cagli (1972) si ispirò alla grafica orientale, ritagliano, su una sorta di vetrata, una sagoma che trascorreva nel vento, inafferrabile e sfuggente. Riccardo Tommasi Ferroni (1986) fece centro e accontentò tutti. I più magari non si accorsero della sottile ironia che sottintendeva la sua sapiente allusione a Murillo. Tutti ammirarono l’equilibrio tra ambigua modernità e accademica compostezza. Eduardo Arroyo non fu da meno (1991) con un’icona imparentata esplicitamente con Velázquez ed a perfetto suo agio tra bizzarri protomi e figure misteriose del fantastico bestiario che sfila nel Campo. Tra cotanto senno, il discusso e modesto Dimitrov non è stato il primo a incorrere in una marchiana svista e far rimpiangere le prosperose Assunte di una volta. Ferdinando Botero, ad esempio, non si peritò (2002) a esaltare un Madonnone enfio, con tanto di cittino in braccio, partecipe di una divertita tipologia grottesca. E prima di lui Ernesto Treccani (1977) e Bruno Cassinari (1988) avevano sognato Vergini con tanto di Gesù fanciulletto in fasce. Il bulgaro che quest’agosto ha replicato l’errore può invocare a sua difesa una scusante.

La scorciatoia Il Drappellone doveva evocare nella parte allegorica Mario Luzi, nel centenario della nascita, peraltro non puntualmente rammentato. Era giocoforza prendere a prestito una Madonna rovistando nella bottega di Simone Martini, il pittore più amato dal poeta. L’Assunzione di norma attribuita a Simone sta in un disegno tradotto in mosaico visibile nel transetto del Duomo di Pisa. Ma chi lo conosce? Così è stata preferita una scorciatoia di sicuro più familiare ai senesi. Che, però, si domandano, taluni scandalizzati, perché l’Assunta non compaia. L’“advocata” latita proprio ora che ce n’è più bisogno? I più sofisticati attenuano l’errore, facendo notare che la cultura figurativa di qui ha molto insistito sulla “regalità”. Proclamarsi sudditi di una Regina tanto misericordiosa e ascoltata incitava a non temere i vicini rivali e ad ingaggiare le più ardue sfide con fiera indipendenza, senza paura di incognite e tempeste. Così era. Così sia.

pubblicato oggi su Il Corriere Fiorentino

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