«Un autentico assassinio», con questi termini il professor Tomaso Montanari, docente di Storia dell’arte moderna all’Università Federico II di Napoli, ha definito lo scorso 27 gennaio sulle pagine de Il Fatto Quotidiano il recente restauro del pavimento del Duomo di Siena, ma anche la ‘privatizzazione’ dell’Opera. Per il professore si è trattato di un autentico scempio perpetrato ai danni di uno dei monumenti più celebri della città e dell’intero periodo gotico italiano.
Un autentico giallo avvolge dunque quei lavori di restauro realizzati di recente, dove alcune immagini sono state modificate senza apparenti ragioni, con aggiunte e cancellazioni che hanno finito per modificare alcune tarsie nella loro versione originale. Luogo del delitto è la navata di sinistra della Cattedrale senese dove Benvenuto di Giovanni realizzò la ‘La cacciata di Erode’. Piccoli dettagli hanno quindi cambiato forma, piccoli indizi insignificanti ad un occhio poco esperto ma non a quello del professor Montanari che li conosce fin dall’infanzia, poiché la sua famiglia ha un ramo senese ed egli quindi da sempre frequentato la nostra città. E così un aquilotto che scompare dal nido che in origine ne conteneva tre, una torre della città che cambia forma alla base e nelle sue arcate e a cui viene sostituita la bandiera issata con un, inspiegabile, collo di giraffa. Casualità? Scarsa attenzione? Premeditazione?
 
Cosa c’è dietro questo «assassinio in Cattedrale» degno di una versione aggiornata e corretta del Gobbo di Notre Dame?
«In realtà si tratta solo del dito che punta la luna – dice ad agenziaimpress.it il professor Montanari -. Il danno perpetrato al pavimento del Duomo di Siena, peraltro avvenuto sotto la gestione dell’attuale Rettore, Mario Lorenzoni, rappresenta una spia preoccupante per la cultura senese e italiana nel suo complesso. Il collo di giraffa alla fine è il danno minore. Qui stiamo parlando di una città che sta svendendo il suo patrimonio culturale».
 
In che senso, professore?
«Il vero interrogativo di tutta questa vicenda riguarda il come gestire questo straordinario patrimonio. Siena ha conservato nei secoli un’identità civile molto forte. E i monumenti hanno un’importanza fondamentale soprattutto a livello simbolico, si pensi alle fontane delle Contrade. Se in un luogo simbolo, come è il Duomo, viene meno questa millenaria identità, allora siamo davanti ad una spia di grande allarme non solo per l’arte in sé ma più in generale per la tenuta sociale e culturale di una comunità politica. Da intendersi come ‘polis’, cioè cosa pubblica come accadeva nelle Città-Stato greche. Significherebbe che Siena ha iniziato a vendere, al mercato, al marketing e al Dio denaro, pezzi importanti della sua identità».
 
Spieghi meglio i contorni di questa faccenda…
«Il problema è soprattutto legato alla cessione di alcuni rami dell’Opera del Duomo di Siena ad una società con finalità di lucro quale è la Opera Laboratori Fiorentini. Cessione che permetterà al nuovo ente di occuparsi di accoglienza, marketing e, soprattutto, di iniziative culturali. Quelle che riguardano restauri, mostre, studi e ricerche. D’ora in poi non si perseguirà più lo scopo culturale ma quello del profitto, e questa rivoluzione valoriale all’orizzonte porterebbe a vedere l’opera d’arte non più come fine ma come mezzo per fare denaro».
 
Il  Soprintendente ai beni artistici e storici di Siena e Grosseto, Mario Scalini, ad esempio ha preso le distanze, precisando che i restauri erano già conclusi prima del suo arrivo a Siena. Non è soddisfatto delle risposte ottenute?
«Restano molti dubbi sul fatto che non sia responsabilità di un Soprintendente vigilare sui restauri. Nella stessa nota stampa, lo stesso Scalini afferma di aver ‘rimosso e sostituito il funzionario che si occupava del Duomo’: una risposta ambigua e insoddisfacente, che sa molto di scaricabarile. Quelli che però sorprendono e preoccupano maggiormente sono i silenzi, in primo luogo del Rettore dell’Opera Duomo (Mario Lorenzoni); e poi quelli dell’Arcivescovo di Siena, Mons. Antonio Buoncristiani, che nomina uno dei cinque membri della Fabbrica Opera Duomo e, soprattutto, quello del sindaco di Siena, FrancoCeccuzzi. Per fortuna la deputata senese, Susanna Cenni, ha fatto un’interrogazione parlamentare (leggi) per sapere dal Ministro dell’Interno se è lecito o meno che un ente pubblico ceda ad un privato una leva importante della sua politica culturale. Se è possibile cioè che l’Opera Duomo di Siena possa privatizzare le sue iniziative culturali ad una società con evidenti scopi di lucro. Se tutto questo fosse stato fatto da un collezionista o da un imprenditore privato non ci sarebbe da scandalizzarsi, ma qui si sta scardinando un’istituzione quasi millenaria come la Opa di Siena (attività documentate che risalgono al 1180), in mezzo a silenzi arroganti e preoccupanti».
 
Cosa la sorprende di questa videnda?
«Quello che sorprende di più è che a Roma se ne parla mentre a Siena si sta zitti. Dal mio punto di vista da questo episodio e dalla sua mancanza di risposte e trasparenza da parte degli enti che dovrebbero garantirla  nasce la più seria obiezione alla candidatura della Città a Capitale della Cultura Europea 2019. Ora sto attendendo la risposta della Ministro Anna Maria Cancellieri, per capire se l’Opera Duomo sia ancora da considerarsi o meno una Onlus. In caso di risposta negativa occorrerebbe l’intervento della Magistratura, anche se mi auguro ovviamente che ciò non avvenga».
 
Quelle risposte le attendono oltre al professor Montanari anche tutti i senesi e gli amanti della città e del suo patrimonio artistico che rimane un unicum, non a caso protetto come Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco.

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