PRATO – Prosegue il drammatico quadro del carcere di Prato, La Dogaia, al centro di una serie di inchieste della procura locale che hanno portato alla luce stupri, torture, rivolte e collusioni con agenti della polizia penitenziaria.
Nuove perquisizioni e scoperte confermano una situazione fuori controllo, segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità all’interno della struttura.
L’ultima sommossa si è verificata il 5 luglio, quando una decina di detenuti si sono barricati nella prima sezione della Media Sicurezza, rovesciando carrelli, tentando di incendiare materiali, brandendo spranghe e cacciaviti e sfondando i cancelli con le brande. Solo l’intervento degli agenti antisommossa ha riportato la calma.
Un episodio simile era avvenuto il 4 giugno, con cinque detenuti che minacciarono gli agenti con armi rudimentali, accompagnando la protesta con frasi minacciose come “stasera si fa la guerra” e “si muore solo una volta, o noi o voi”.
Le indagini della Procura hanno portato all’apertura di un fascicolo per rivolta, resistenza, lesioni e danneggiamenti, con un’attenzione particolare anche alle “condotte collusive” interne alla struttura. È stato chiesto il coinvolgimento del Prefetto e del Questore per rafforzare la sicurezza anche all’esterno del carcere.
Il contesto è aggravato dal libero scambio di droga e telefoni cellulari, con 41 telefoni, tre schede sim e un router sequestrati solo nell’ultimo anno. Nonostante le perquisizioni, nuovi dispositivi sono risultati attivi anche dopo l’operazione del 28 giugno, grazie alla compiacenza di alcuni agenti e alla libertà di movimento dei detenuti in permesso. Alcuni detenuti hanno persino pubblicato foto delle loro celle su TikTok, alimentando ulteriormente la gravità della situazione.
Particolarmente inquietanti sono i casi di violenza tra detenuti. Nel settembre 2023 un 32enne brasiliano è indagato per aver violentato ripetutamente il compagno di cella pachistano, minacciandolo con un rasoio. Un altro episodio risale al gennaio 2020, quando due detenuti avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale, usando mazze, pentole bollenti e violenze fisiche estreme, causando gravi lesioni e traumi psicologici duraturi. I responsabili sono stati rinviati a giudizio e il processo è in corso.
La Procura ribadisce la gravità della situazione e assicura che la risposta dello Stato sarà ferma e costante, mentre le indagini proseguono con nuove perquisizioni e sequestri anche in questi giorni.