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PISA – Due secoli fa, a Pisa, si accendeva una scintilla destinata a fare scuola in tutta Europa. Nell’anno accademico 1825/26, per la prima volta al mondo, l’Egittologia entrava in un’aula universitaria: a introdurla fu un giovane e brillante orientalista, Ippolito Rosellini, che davanti agli studenti dell’Università pisana parlò di faraoni, geroglifici e lingue dimenticate. Pisa anticipava così Parigi di ben sei anni: in Francia una cattedra ufficiale sarebbe nata solo nel 1831, con Jean-François Champollion.

“Questo primato fu possibile anche grazie al sostegno di Leopoldo II di Toscana – spiega Gianluca Miniaci, oggi professore di Egittologia all’Ateneo –. Il Granduca aveva un interesse molto pratico: Livorno, all’epoca, era la porta d’Europa per le antichità faraoniche”.

Il porto labronico pullulava infatti di arrivi dall’Egitto: le stive colme di cereali e spezie nascondevano anche statue, mummie, papiri e sarcofagi. I lazzaretti e i magazzini si riempivano di tesori che presto avrebbero preso la via dei musei di Torino, Firenze, Bologna, Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Leida. Attorno a questo flusso nacque persino un turismo d’élite: antiquari, studiosi e collezionisti giungevano a Livorno per vedere da vicino la nuova “moda egizia”.

Per celebrare i 200 anni dall’avvio delle lezioni di Rosellini, l’Università di Pisa ha preparato un fitto calendario: incontri pubblici, un convegno internazionale a dicembre e soprattutto una mostra che esporrà le pagine delle prime lezioni, custodite insieme ad altri preziosi documenti nella Biblioteca Universitaria di Pisa: appunti, volumi antichi, note manoscritte e i disegni raffinati realizzati durante la celebre spedizione franco-toscana.

Quella spedizione, organizzata da Rosellini con l’amico Champollion e finanziata da Leopoldo II e da Carlo X di Francia, partì nel 1828 alla volta della Valle del Nilo: la prima vera missione egittologica mai compiuta. Tornò a Livorno nel 1829 con circa duemila reperti destinati al Museo Archeologico di Firenze e un tesoro immenso di testimonianze scritte e illustrate. Oltre 20.000 carte, tra lettere, quaderni, annotazioni e più di mille disegni, molti acquerellati, che ancora oggi raccontano – con i colori vivi del deserto e delle pietre sacre – la nascita di una disciplina capace di portare l’Egitto dei faraoni nelle aule europee.

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