VIAREGGIO – Si è spento ieri mattina all’istituto Sacro Cuore di Viareggio don Luigi Sonnenfeld, 85 anni, ultimo testimone diretto dell’esperienza dei preti operai della Darsena.
Nato a Lucca il 27 luglio 1940, don Luigi era il sopravvissuto dopo don Sirio Politi e don Beppe Socci, figure cardine di quegli anni di fede e impegno sociale fioriti intorno alla Chiesetta dei Pescatori. La sua voce appassionata, mite e coinvolgente – come quella di un nonno amatissimo – ha tramandato per decenni quella stagione straordinaria alle nuove generazioni, lasciando un vuoto profondo tra chi lo ha conosciuto.
Quarto di quattro fratelli in una famiglia lucchese (con il fratello Guglielmo “Memo” e le sorelle Mitzi e Isabella, quest’ultima mancata anni fa), don Luigi frequentò le scuole elementari e medie a Lucca, poi il liceo scientifico Vallisneri. A 18 anni, ancora sui banchi, maturò la vocazione sacerdotale: non un prete formale, ma uno vicino ai poveri e agli emarginati, ispirato dal Vangelo. In seminario trovò guida in don Beppe Giordano, prete-artigiano e futuro parroco di San Pietro a Vico, con cui nacque un’amicizia profonda.
Ordinato il 25 giugno 1966 e laureato in Teologia morale al Pontificio Ateneo Anselmiano di Roma, don Luigi si unì alla comunità di Bicchio, quartiere agricolo viareggino legato a florovivaismo e nuove forme di cristianesimo partecipativo – osteggiate all’epoca, ma con donne attive come Maria Grazia Galimberti. Lì lavorò come trattorista presso una famiglia di vivaisti, rimboccandosi le maniche oltre a celebrare messa. Fu il seme di un’esperienza che crebbe intorno a don Rolando Menesini, don Sirio Politi e don Beppe Socci.
Alla fine degli anni Sessanta, in piena effervescenza del Sessantotto, don Luigi lasciò Bicchio per Viareggio: «Chi mi vuol bene mi segua», disse. Con don Sirio, don Beppe e Maria Grazia Galimberti si stabilì nel cuore della Darsena, tra cantieri navali e pescatori. Nacque così la Chiesetta dei Pescatori, approvata dal vescovo Enrico Bartoletti: un modello di preti operai esportato in altre città italiane.
Inizialmente accolti con diffidenza da falegnami, carpentieri, calafati e pescatori, i tre sacerdoti conquistarono il quartiere con empatia e impegno. Don Luigi abbandonò il trattore per diventare fabbro e aprì una scuola pomeridiana per operai privi di licenza media, trasformando un salone accanto alla chiesetta in aula di scrittura e aritmetica.
Con l’età, passarono all’artigianato nel Capannone di via Virgilio: falegnameria, ceramica, rame e impagliatura sedie – simbolo soprattutto di don Beppe. Lì trovarono spazio persone con disabilità, in un’inclusività ante litteram. Don Luigi diede forma imprenditoriale all’attività, fondando la cooperativa Crea, capace di gare pubbliche e autonomia.
Attività portate avanti insieme all’impegno civile: contro lo sfratto del cinema Centrale (proprietà parrocchiale), per i licenziati, contro politiche anti-migranti, per la pace a Gaza (casa sua sede del Forum versiliese). L’anno scorso promosse la marcia per Nourdine Mezgoui, immigrato ucciso da un Suv in Darsena, guadagnandosi nemici in Diocesi.
Parroco a Casoli (Camaiore) e San Pietro a Vico, curò poi il santuario della Ss. Annunziata con don Antonio Tigli e don Franco Raffaelli, ma visse sempre accanto alla Chiesetta con il cane Lord. Il 25 ottobre un malore e una caduta segnarono l’inizio della fine: Versilia, Barbantine di Bicchio, poi Sacro Cuore. Ieri, dopo la barba, un infarto lo ha portato via.







