schede-referendum1.jpgCi sono referendum e referendum. Ci sarebbero quelli abrogativi, quelli che è così difficile raggiungere il quorum, ma che nell’ipotesi tu lo raggiunga poi fanno un po’ come gli pare lo stesso.

Il Parlamento repubblicano negli anni ha fatto dell’aggiramento degli esiti referendari una sottile arte.
Roba comunque sostanzialmente d’altri tempi, i tempi in cui Pannella filava e Segni (figlio) dava ancora segni di sé.

Un pezzo della sinistra uscita dal PD, quella civatiana, ha tentato recentemente di riportare in auge il referendum, cercando con esso di colpire al cuore l’azione di governo delle larghe intese renziane (sullo Sblocca Italia, sul Jobs Act, sulla Buona Scuola), ma non è riuscita a raccogliere le firme necessarie.
Questo anche perché tutti gli altri pezzettini della sinistra hanno fischiettato fingendo indifferenza durante la raccolta delle firme, salvo poi il giorno dopo osservare con fare meditabondo che forse sì, ci sarebbe stato proprio bisogno di un paio di referendum in quel modo lì.

C’è poi quello confermativo, ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, che si svolgerà presumibilmente il prossimo autunno sulla riforma costituzionale Boschi-Renzi. Quello in cui, per ammissione dello stesso Segretario-Presidente, ci si gioca l’osso del collo, in una consultazione che diventerà una sorta di plebiscito al termine del quale, nella narrazione renziana, se vincerà avrá vinto Renzi e se perderà avrà perso il Paese, ma che Renzi stesso sa benissimo rappresentare uno spartiacque nella sua storia politica.

Una consultazione che segnerà l’avvento o meno di una Terza Repubblica che eventualmente nascerà alla De Gaulle, per carità con tutte le dovute proporzioni con il Generale transalpino, e anche al netto delle mimetiche militari che ultimamente Renzi ama così tanto indossare.  Intendo dire che, se vincerà, il Presidente potrà dire “la Terza Repubblica sono io”, perché non solo ne sarebbe stato il primo artefice, ma anche perché essa ne porterebbe la fisionomia politica e istituzionale (e non mi si dica adesso che siccome a De Gaulle andò male proprio il referendum costituzionale sulla riforma del Senato, allora la mia è solo una gufata). Il referendum dividerà il Paese, come accade ogni volta che se ne svolgono di davvero importanti. Tra chi riterrà di essere trascinato da Caronte ad attraversare lo Stige verso gli inferni di una repubblica monocratica, e cercherà di scendere dal barcone urlando il suo “no”; e chi invece penserà di essere diretto verso le sfere celesti della nuova era dell’efficienza e della crescita, e prenderà la matita per crociare il “sì” come stesse porgendo la mano a Beatrice, ci sarà da vederne delle belle. L’asticella dello scontro sarà posta bella in alto.

Ma il pensare una cosa o l’altra prescinderà ovviamente dal merito della riforma, perché come in ogni plebiscito che si rispetti è la figura del capo al centro del quesito: mi affido o non mi affido, lo voglio o non lo voglio, lui sì o lui no.

manifestazione-referendumC’è poi in Toscana il referendum per il quale 55.000 cittadini hanno firmato allo scopo di abrogare la nuova legge sanitaria, quella delle tre mega ASL per capirci. O per meglio dire c’era il referendum sulla riforma sanitaria toscana, visto che i Consiglieri regionali sembrano averlo scongiurato cambiandola loro la legge, ma appena quello stralcio che basta per annullare il referendum, e non certo recependo le istanze dei referendari. Hanno buttato velocemente la palla in calcio d’angolo insomma, anzi, vista la veemenza e i modi spiccioli, anche in tribuna direi… di punta. Paura che i toscani non condividano la riforma? O magari, come si usa dire in questi casi, che non l’abbiano davvero capita e dunque giudichino senza consapevolezza? E che dunque se fosse capitata loro tra le mani l’avrebbero stracciata?

Chissà, chi lo può dire. Intanto forse paura del referendum in quanto tale. Sono stati giorni di dura battaglia consiliare in cui, a leggere i toni enfatici e drammatici delle loro dichiarazioni sui social, i consiglieri sembrano essersi sentiti come dei guerriglieri curdi nelle fredde notti di Kobane, con i loro cari a casa a cui lanciare accorati appelli grondanti eroismo. Con tanto di selfie collettivo finale della maggioranza, nel quale appaiono pollici alzati alla Happy Days, a celebrare la bandiera piantata sulla collina conquistata dal nuovo corso. Che poi tanto nuovo non è visto che il copyright sulla politica degli accentramenti ce l’ha il Presidente Rossi, che via Cavour la bazzica già da un bel po’.

iwojimaComunque una foto epica, che quella dei Marines sul monte Suribachi nella battaglia di Iwo Jima al confronto sembra immortalare campeggiatori a Follonica che piantano i paletti della tenda. Poi ci sarebbero i referendum interni ai partiti, tipo quelli previsti dallo Statuto del Partito Democratico, che dopo quasi otto anni ancora non solo nessuno si è mai sognato di indire, ma rispetto ai quali tutti hanno anche fatto gli gnorri quando si è trattato di approvare i relativi regolamenti. Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi se un tratto comune lo hanno avuto stato è quello di essersene infischiati dell’art. 27 dello Statuto. Ovviamente un attimo dopo aver pronunciato a pieni polmoni, e guardando gli iscritti dritti negli occhi, che il PD sarebbe ripartito dai Circoli e dalla partecipazione diretta degli iscritti alle decisioni importanti. Certo l’attuale Segretario, a dire il vero, ci ha aggiunto un pizzico di involontaria goliardia, quando qualche settimana fa annunciò pomposamente l’apertura di un’ampia consultazione tra gli iscritti, che si è poi risolta nella richiesta ai militanti di inviargli le loro idee e sensazioni sulla politica nazionale direttamente al suo indirizzo email personale. Una specie di posta del cuore piuttosto che una consultazione della base.

Insomma di democrazia diretta, cittadini protagonisti, partecipazione attiva si fa un gran parlare, ma poi quando c’è da misurarsi in campo aperto, senza reti di protezione, la politica italiana avverte il pericolo e se può cerca di metterci una pezza o di girarsi dall’altra parte. A meno che il tutto non possa trasformarsi in plebiscito. Ma quella dei plebisciti più che vecchia politica è una storia vecchia quanto la politica.

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