Eseguito all’ospedale Santa Maria alle Scotte un particolare intervento chirurgico di allungamento della tibia. L’operazione è stata effettuata dall’équipe diretta dal professor Stefano Giannotti, direttore UOC Ortopedia, su un paziente di 40 anni che per una gravissima frattura in età infantile a livello della caviglia aveva subito un intervento che aveva compromesso in maniera irreversibile le cartilagini di accrescimento, impedendo quindi il naturale allungamento della tibia. «Il paziente – spiega Giannotti – presentava un’alterazione morfologica di circa 12 cm che rendeva difficoltoso lo svolgimento delle normali attività quotidiane. La particolarità dell’intervento eseguito è stata quella di utilizzare un chiodo endomidollare tibiale per ottenere, nel tempo, l’allungamento del segmento osseo. Questo tipo di sistema – prosegue Giannotti – possiede un meccanismo interno che spinge l’allungamento e che è attivato e controllato tramite dispositivi elettronici esterni. Il chiodo endomidollare, infatti, presenta al suo interno un magnete collegato tramite una serie di ingranaggi ad una vite filettata. Una volta impiantato, il chiodo viene allungato tramite la rotazione del magnete indotta da un dispositivo esterno con motore elettrico e magneti rotanti, come se fosse un telecomando. L’allungamento – aggiunge Giannotti – si basa sull’osteodistrazione, cioè il graduale allungamento del callo tra segmenti ossei chirurgicamente osteotomizzati che determina la neoformazione di tessuto osseo».

Tutti i benefici L’allungamento stimato, che dovrebbe avvenire quotidianamente a partire dal decimo giorno dopo l’operazione con paziente già dimesso, è di circa 0,75 millimetri al giorno. La prima fase di planning preoperatorio è stata effettuata determinando la lunghezza e il diametro del chiodo endomidollare personalizzato per il paziente, vincolato alle dimensioni e alla deformità residua della tibia. «Con questo sistema innovativo  – aggiunge Giannotti – che permette al paziente di tornare presto a casa e di avere un allungamento progressivo dell’osso, sono state evitate le difficoltà di gestione di un fissatore esterno, che fino ad ora era considerato il golden standard in questo tipo di interventi ma che presentava una serie di difficoltà per i pazienti tra cui la possibilità di infezione, le continue medicazioni e complicanze come le rigidità articolari, le contratture muscolari e il dolore. Con questo dispositivo – prosegue Giannotti – è possibile garantire al paziente una gestione decisamente più facile delle attività quotidiane, un’ospedalizzazione più breve ed un maggior controllo delle complicanze durante la fase di allungamento. Gli allungamenti delle ossa lunghe, cioè femore e tibia – conclude Giannotti – sono indicati nelle dismetrie degli arti inferiori, derivate da cause congenite, di sviluppo, post-traumatiche, o post-chirurgiche».

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