Scontri_di_piazzaLa settimana scorsa ho partecipato ad una bella iniziativa organizzata dal Pd, in particolare da quella “parte” (ma potremmo anche dire, “corrente” o “fazione” a seconda dei casi e a seconda dello spirito critico con cui si guarda a quello che una volta era il “Partito”) di Pd che si ritrova intorno alle posizioni di Gianni Cuperlo. Dal mio punto di vista, di non iscritto al Partito e di non iscritto quasi a niente, si è trattato di una “bella iniziativa” per il tema scelto dall’onorevole Susanna Cenni, organizzatrice dell’appuntamento: “La sinistra dentro ai mutamenti sociali. Ripartire dalle disuguaglianze”.

Un titolo importante perché ci dice due cose: la prima è che la sinistra deve tornare ad occuparsi di mutamenti sociali invece di spendere il suo tempo in tatticismi e logoranti guerre di posizione in attesa dell’attacco finale di quella o dell’altra fazione. La seconda cosa, ancora più importante, è che oggi per dire “sinistra” è necessario proprio occuparsi delle disuguaglianze.

Il tema delle disuguaglianze oggi è il tema dei temi: con le disuguaglianze non c’è più da scherzare, ne va della tenuta sociale di questa nostra fragile società. Se in passato le lotte per l’eguaglianza sono state alla base dell’impegno sociale e della militanza politica, le disuguaglianze di oggi producono rabbia, tanta rabbia, e non solo rassegnazione e disillusione, come molti pensano.

Per rendersi davvero conto di cosa sta accadendo non basta più “parlare delle disuguaglianze” ma occorre parlare con chi queste disuguaglianze le vive e le subisce. Anche io, fino a qualche anno fa, conoscevo le disuguaglianze solo dai libri, attraverso la mia attività di ricercatore sociale; oggi, invece, dalla mia postazione di amministratore pubblico, le incontro tutti i giorni, queste disuguaglianze, e posso assicurare che fanno paura, non solo per gli effetti che producono, ma soprattutto per le reazioni che innescano. Sono reazioni sconnesse, sconsiderate, che prendono strane direzioni. Per esempio i “poveri” non votano quasi più a sinistra: quando va bene sono per i “vaffa” a 5 stelle, altrimenti si orientano verso quella destra che si spaccia per “sociale” e che, invece, è spesso razzista e xenofoba e che ha la capacità di intercettare un disagio ormai insostenibile.

E allora a me viene da metterla in guardia questa sinistra, almeno quella sinistra cui sento di appartenere – pur senza militarvi e purtroppo anche credendoci poco (lo so, è una colpa… ma sono anche pronto a ricredermi di fronte a fatti concreti di cui dirò più avanti) e gli direi due cose.

La prima ha a che fare con i dati presentati durante l’iniziativa del Pd: sono i dati contenuti nel rapporto di Oxfam sulle disuguaglianze che ci parlano di una forbice tra ricchi e poveri che si va costantemente allargando, non dal 2008 ma dagli anni ’70.  Prima non ce ne accorgevamo perché la torta da dividere lievitava bene, cresceva, e anche lo spicchio che toccava ai “poveri” aveva qualche briciola in più anche se si trattava sempre di spicchi disuguali, palliativi, carognate di un sistema economico profondamente sperequato. Si, abbiamo avuto tutti accesso a consumi gratificanti… ma a quale prezzo?

A questa sinistra direi di fare attenzione a non rimanere vittima dell’ideologia della crescita economica perché con la sola crescita economica non si va da nessuna parte per quanto riguarda la riduzione delle disuguaglianze: le disuguaglianze sono aumentate vertiginosamente proprio durante gli anni della crescita economica. Per esempio oggi assistiamo a fenomeni nuovi come quello della “crescita senza occupazione” che vanifica ogni sforzo in tal senso. E poi c’è la questione della “finitezza delle risorse” che rendono “impensabile una crescita infinita in un pianeta finito”, come ripete da anni il mio amico Serge Latouche.

Insomma, secondo me questa “sinistra” deve decidere e prendere posizione su quale modello di società vuole costruire: non può incarnare e farsi portatrice degli interessi degli imprenditori, dei lavoratori, dei pensionati, dei precari, dei cattolici “integralisti”, dei giovani, di coloro che fino a ieri hanno votato per Berlusconi. Anche se oggi non è più tempo di “borghesi e proletari” gli interessi in campo sono troppi per essere rappresentati tutti insieme da una parte sola: è difficile pensare di intercettare i voti “di tutti” e per questo è indispensabile decidere “chi” e “che cosa” si vuole rappresentare… altrimenti c’è posto solo per una grande confusione.

La sinistra deve dirci da che parte sta, quale modello di società vuole costruire e, soprattutto, deve dirci una buona volta quali misure intende utilizzare per realizzare il modello di società che vogliamo!

In relazione a quanto appena detto, la seconda cosa che direi a questa sinistra è di individuare due o tre proposte concrete, due o tre battaglie politiche chiare, forti, da portare avanti, tali da permettere a tutti di identificare bene cosa significa “ripartire dalle disuguaglianze”. Da tempo, dopo qualche buona lettura (consiglio a tutti Wilkinson & Pickett, La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici, Feltrinelli) a me martella in testa la questione dei tetti massimi ai salari e per questo una delle prime battaglie da fare sarebbe quella per introdurre una legge che stabilisca che nessuno – potremmo partire almeno dai dipendenti pubblici – può guadagnare più di una certa cifra.

Con il mio lavoro di professore universitario ho un salario netto  di 2.400 euro (poco meno del doppio del reddito medio nazionale): mi ritengo un privilegiato, riesco a soddisfare ogni “ragionevole” bisogno e a guardare al futuro con una certa sicurezza. Ma questo mi permette anche di chiedermi qual è il senso di quei salari da centinaia di migliaia di euro. Qual è il senso degli stipendi dei manager di Stato, dei giornalisti Rai, degli alti dirigenti che raggiungono cifre di 300, 400mila euro, perfino milioni di euro all’anno? Siamo al di la del bene e del male. Siamo al di la di ogni ragionevole dinamica economica, politica e sociale.

Poi, potremmo parlare dei manager delle imprese private, senza tabù, come fanno in certi Paesi come il Giappone, dove da sempre riescono a “calmierare” le retribuzioni troppo elevate: mi domando il senso dei 40 milioni di buonuscita all’ex ad di Unicredit Alessandro Profumo, ma anche i quasi 2 milioni a Marco Morelli, attuale ad di Mps, una Banca tecnicamente “fallita”. Siamo ancora al di la del bene e del male, siamo al “sonno della ragione” e non dovremo stupirci se verranno fuori “i mostri”.

Vogliamo ripartire dalle disuguaglianze? Partiamo da qui!

Con uno solo di questi stipendi potremmo sistemare 10, 20, 100 famiglie che non hanno niente, di quelle che vengono in Comune la mattina a chiedere “casa e lavoro”. Certo, per fare questo si deve intervenire sui privilegi, su tutti i privilegi, piccoli e grandi, compresi quelli dei politici, perché devono riacquisire credibilità anche loro, soprattutto loro: quale credibilità può avere agli occhi di un “povero” chi si arricchisce facendo “politica”?

Si, lo so, è facile accusare posizioni di questo tipo di populismo, di faciloneria o, ancora peggio, di superato ideologismo, ma ci vogliono risposte chiare, comprensibili, certe, se vogliamo sapere e far sapere dove vuole andare questa sinistra. Dobbiamo davvero ripartire dalle disuguaglianze se vogliamo ridare un’identità al popolo della sinistra.

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