
TORRE DEL LAGO – Aggiusta di persona quello che non va. Anche fosse l’allacciatura delle scarpe di Tosca. Puntiglioso, determinato a lasciare il segno, ma non “invasivo”. Alfonso Signorini, al Caffè della Versiliana, storico spazio d’incontro e immancabile appuntamento estivo, è un regista d’opera. Conosce la musica e la rispetta. Dà una sua lettura, certo, della vicenda, ma a comandare è sempre il compositore. Puccini, in questo caso.
Il festival Puccini 2025 apre la 71° edizione con una delle opere più amate di Puccini, per la quale si affida ogni sera a cast diversi (dai direttori ai protagonisti) ma allo stesso regista, Signorini, appunto, che proprio a Torre del Lago con Turandot debuttò nella regia d’opera. Otto anni fa che sono un’epoca. Nel frattempo Signorini è diventato il volto del GF vip, attraverso il quale ha portato avanti alcune battaglie di “inclusione”, come le chiama: abbattere i pregiudizi verso chi è sieropositivo, verso l’omosessualità, le discriminazioni dovute a razza, disabilità o qualunque altra forma di “diversità”, parola che piace sempre meno.
Impegno e “cazzeggio”, alto e basso: così deve essere lo show, è il Signorini pensiero, alla vigilia di una nuova stagione televisiva e di nuovi impegni d’opera. Con molte sfide e un paio di certezze: il reality show non è morto e non sta nemmeno male; l’opera neppure. Visti i numeri delle prime a Torre del Lago e la passione degli stranieri per Puccini, Verdi, Rossini specie se ascoltati in Italia, nei luoghi di origine, ha probabilmente ragione.
Signorini, Lei torna a Torre del Lago con una nuova produzione di Tosca, dopo il successo della Turandot con cui proprio al festival Puccini nel 2017 debuttò nella regia d’opera. A differenza di Turandot, con cui si confrontava per la prima volta in teatro, lei ha già curato la regia di Tosca a Salerno, con Oren sul podio.
Quale lettura dà di questa opera, molto amata dal pubblico?
“La Tosca che ha inaugurato la stagione del festival Puccini di Torre del Lago non ha nulla a che vedere con quella andata in scena a Salerno, diretta, appunto, dal maestro Oren e con il soprano José Maria Siri nel ruolo della protagonista. Questo allestimento è caratterizzato da una lettura triplice perché i protagonisti sono sostanzialmente tre: il dramma si sviluppa attraverso tre linee musicali e letterarie diverse che riflettono i personaggi principali, Tosca, Cavaradossi e Scarpia”.
In che modo?
“Allora, Tosca (il soprano, ndr) rappresenta la donna passionale, preda delle passioni umane, la gelosia, l’amore, la tensione erotica; Scarpia (il baritono, che riveste i panni del potente e manipolatore capo delle guardie pontificie) è l’uomo dal profondi contrasti: è un epicureo che, nel suo monologo bellissimo, nel suo secondo atto, dice “bramo tutto ciò che la natura mi mette a disposizione”, ma nel contempo è anche un uomo schiavo delle proprie passioni, della propria libidine. Ed è anche un uomo combattuto, diviso a metà perché è un uomo di fede, uomo sicuramente educato alla fede cattolica. Poi abbiamo Cavaradossi (il tenore, nel ruolo del pittore rivoluzionario, ndr) che di solito viene dipinto come un personaggio superficiale, in realtà è un personaggio complesso, profondo.
Il drammaturgo francese Sardou che scrive la tragedia alla quale Puccini si ispira per il libretto dell’opera, lo definisce come un intellettuale, che arriva a Roma e si mette a dipingere per sfizio, per passatempo, ma in realtà è appena tornato da Parigi dove frequenta i salotti di Voltaire, di David, di tutti i rivoluzionari. Rivoluzionari che hanno modificato il suo pensiero. Quindi è un uomo che conosce molto bene la Roma papalina, in tutte le sue luci e le sue oscurità, che è a conoscenza di tutti i misfatti del barone Scarpia e che, chiaramente, è il primo a non credere al salvacondotto che Tosca gli porta quando è prigioniero a Castel Sant’Angelo; sa benissimo che la sua condanna a morte è sicura. Tuttavia vuole illudere la sua compagna, regalandole qualche ancora qualche istante di felicità”.
Una lettura composita. Con molta attenzione all’aspetto psicologico e sociale dei personaggi di un’epoca importante per la storia d’Europa e d’Italia.
“Sono tre piani narrativi che si intersecano, per formare un unico dramma, perfettamente calato nel suo tempo – la vicenda si sviluppa a Roma nel 1800. Non a caso, a monte del lavoro di regia c’è una ricerca storiografica, iconografica per i costumi, per i quali sono stati selezionati con grande attenzione i tessuti; altrettanta attenzione è stata posta alla realizzazione delle scene: poi io sono molto scrupoloso, anche nella verifica dei dettagli. Naturalmente ho un rispetto massimo per la ricostruzione storica e filologica, ma anche con qualche colpo di scena che il teatro deve comunque regalare a livello emozionale agli spettatori” e per i quali Signorini dà appuntamento in teatro.
Da alcuni anni, è emersa anche una tendenza a fare di Tosca un simbolo: la protagonista, un’artista bellissima, bramata da Scarpia, è vista come una donna libera, padrona della propria vita, capace di uccidere l’uomo più potente di Roma quando cerca di violentarla, di prenderla con la forza e con il ricatto: un amplesso in cambio della vita del suo Mario (Cavaradossi). Anche lei pone l’accento su questo aspetto?
“Siamo tutti sensibilizzati al tema della violenza di genere che nell’opera è presente. Il secondo atto, in particolare, che è l’atto della violenza, dell’abuso, della sopraffazione, del potere a sfondo sessuale, chiaramente sarà rivestito proprio nelle sue forme, nella sua essenza di tutti quei temi ai quali noi siamo così sensibili ai tempi nostri. Certamente il secondo è un atto molto forte nella sua rappresentazione che non lascerà certamente indifferenti gli spettatori. In questo, infatti, ho chiesto uno sforzo, una grande partecipazione anche a livello attoriale. E, alla prima, l’elemento che mi ha colpito, in modo inaspettato, potrei dire, è che per la prima volta – e non soltanto nella Tosca di cui avevo già curato la regia, ma in tutte le decine di Tosca che ho visto da spettatore – a Torre del Lago, il pubblico ha spontaneamente applaudito, con un applauso fragoroso, quando Tosca ha ucciso Scarpia. Ed è davvero la prima volta che mi capita. Questo significa che c’è stata davvero una partecipazione emotiva da parte del pubblico che ha portato ad applaudire la morte del male. Vuol dire che questo pathos sono riuscito a crearlo”.
Perché ha deciso di curare la regia di Tosca?
“In verità perché questa è stata l’opera che il festival mi ha proposto per inaugurare l’edizione n° 71. Questa proposta ha rappresentato per me una bella sfida, anche se, ogni regista, quando mette in piedi una nuova produzione di opere che ha già realizzato, ha l’obbligo morale di offrire al pubblico qualche cosa di nuovo rispetto al passato. E non è sempre facile inventarsi qualche nuovo colpo di scena. Però, a giudicare dal successo, ce l’abbiamo fatta”.
Riguardo all’impegno attraverso lo spettacolo, in alcuni suoi programmi, anche in accordo con il suo editore, si è distinto per aver proposto temi spinosi. Ad esempio, in una sua edizione de “Il grande fratello vip” ha voluto un concorrente dichiaratamente sieropositivo per dimostrare che, grazie alla terapia anti-retrovirale, non solo si può condurre una vita senza grandi problematiche ma non si è contagiosi. Insomma, si è impegnato per sfatare pregiudizi.
“Questa è stata una delle tante battaglie condotte, ma non è stata la sola. Questa è, comunque, una battaglia alla quale tenevo molto, insieme a quella dell’inclusività, che riguardava persone omosessuali, uomini o donne, che riguardava le differenze di razza, quelle della disabilità. Ho sempre visto “Il grande fratello” come una vetrina importantissima per sensibilizzare il pubblico anche a certe tematiche. Sottolineo anche perché c’è il cazzeggio, passatemi il termine, e l’intrattenimento puro. Però, bisogna sfruttarle le possibilità le possibilità che abbiamo di comunicare. A me sono state offerte e ho cercato di indirizzarle verso un traguardo che mi ero prefisso, che avevo in testa di realizzare”.
Questa domanda, probabilmente, non è priva di pregiudizi. E magari di snobismo diffuso: ma come si concilia, scusi, la conduzione del Grande fratello con la regia d’opera? Come si conciliano, insomma, nella cultura, nello spettacolo “l’alto” e il basso?
“L’alto e il basso, anche nello spettacolo, possono essere delle armi che ti uccidono oppure degli strumenti che ti innalzano. Dipende se queste armi e questi strumenti li sai usare. Per saperle usare, intanto, devi avere un minimo di cultura e un minimo di spessore che fanno sì che tu non sia una persona banale o stupida o superficiale. Poi devi avere anche delle persone giuste che veicolano i tuoi messaggi, nel senso i messaggi che vuoi mandare. In sostanza, è possibile conciliare alto e basso attraverso la tua professionalità: io quando conduco “Il grande fratello” uso il mio talento da intrattenitore, quando sono impegnato nella regia di Tosca uso il mio talento da musicista: certamente io conosco la musica, la suono, la vivo, la studio da quando sono piccolo (Signorini è diplomato al conservatorio Verdi di Milano, ndr). Sarebbe impossibile per me, ad esempio, prescindere dall’aspetto musicale: per una prova di regia è, prima di tutto, una prova di voce e una prova musicale, poi avviene il mutamento scenico. Così come quando sono al Grande Fratello devo sviluppare il mio lato più istrionico. Non è che siamo in tanti oggi di istrioni con licenza di “istrionare”. E aggiungo, per fortuna, perché per me questo è un valore aggiunto che mi tengo ben stretto”.
In autunno, la versione Nip (Not important people) del Grande fratello – quella che torna all’origine, con gli sconosciuti nella casa – sarà condotta da Simona Ventura. Per lei è stata una sorpresa questa scelta?
“No, non è stata una sorpresa perché, comunque, l’azienda (Mediaset) sapeva che avevo manifestato il desiderio, dopo sette anni, di poter lavorare un po’ meno. E sono davvero contento di dividere le mie fatiche con Simona che è una persona che apprezzo, una collega che stimo, oltre che un’amica. Quindi sono contento sia di condividere il lavoro con lei, sia di poter fare la metà del lavoro. Almeno potrò godermi la vita come non faccio da sette anni a questa parte, da settembre a dicembre”.
Lei comunque raccoglierebbe il testimone da Simona Ventura per l’edizione Vip del Grande fratello, giusto?
“É così. Ma all’edizione non abbiamo ancora iniziato a lavorare: cominceremo a settembre, perché andando in onda a gennaio è assurdo partire ora. Non ho iniziato a fare niente: sarebbe prematuro”.
Ma oggi i reality show hanno ancora un senso? E se ce l’hanno, quale sarebbe?
“Intanto la missione dei reality show è una missione che vale oggi come come valeva venticinque anni, visto che il primo reality show in Italia è stato proprio Il grande fratello. La missione del GF è esattamente quella di un tempo: quella di intrattenere il pubblico, di regalare qualche ora di intrattenimento leggero, naturalmente offrendo non solo leggerezza ma anche contenuti, storie da raccontare. Quindi io non credo che il reality show sia un genere televisivo in crisi o destinato a morte sicura. Credo che, certamente, il reality show subisca la crisi che ha investito la televisione tutta. Gli ascolti di venticinque anni fa non ci sono più per nessun programma, non solo per i reality show: non ci sono più per l’infoteiment, nei talk show, nei varietà che sono di fatto spariti. Parliamo di una televisione che nel corso di questi anni si è diversificata con mille proposte, con mille opportunità per il telespettatore. Non cantiamo il de profundis al reality in anticipo. Secondo me come genere ha ancora molta forza. Certo dipende da come sai sviluppare i contenuti, da come racconti il reality, ma ci sono fior di professionisti che lo fanno molto bene. Io sono abbastanza ottimista”.
A proposito di eccellenze, nel campo della lirica mi dice tre nomi di professionisti con i quali vorrebbe lavorare?
“Sicuramente il maestro Muti, perché lo stimo profondamente: non riesco a trovargli un difetto in tutto quello che dice e in tutto quello che fa. Mi piacerebbe lavorare molto con il soprano Maria Agresta (considerata oggi una delle più belle voci al mondo) che interpreterà Madama Butterfly nel nuovo allestimento dell’opera a Torre del Lago (8 e 23 agosto). Come tenore vorrei lavorare con il cileno Jonathan Tetelman che interpreterà Cavaradossi nella recita del 9 agosto a Torre del Lago e che, purtroppo non riuscirò a vedere. Io non avrò la fortuna di conoscere, anche se l’ho già ascoltato alla Royal Opera House di Londra (il Covent Garden) due anni fa e mi era piaciuto molto. Tanto che ero andato da lui a dirgli che era un grandissimo artista, cosa che faccio di rado. Mi dispiace non poterci lavorare in questa circostanza, ma sarà per la prossima volta”.
Ecco, dopo Tosca a Torre del Lago quale sarà la sua prossima volta a teatro, come regista d’opera?
“Sicuramente a Verona, per la stagione 2026 dell’Arena. Riprenderemo la produzione de La Bohème che era stata allestita per due serate. Il prossimo anno ne avremo quattro”.
TOSCA L’OPERA DI PUCCINI
Ispirata al dramma teatrale del francese Victorien Sardou, portato al successo in Francia dall’attrice Sarah Bernhardt alla fine del 1887. Giacomo Puccini assiste a una rappresentazione al Teatro dei Filodrammatici di Milano all’inizio del 1889 e ne resta così colpito da volerla trasformare nell’opera (edita da Ricordi) che debutta a Roma, al teatro dei Costanzi, il 14 gennaio 1900. Il dramma, pieno di colpi di scena, narra la storia d’amore fra la cantante Floria Tosca e il pittore rivoluzionario Mario Cavaradossi che si dipana sullo sfondo di una Roma papalina dove, nel 1800, si è appena spenta la repubblica romana. La passione fra Tosca e Cavaradossi si intreccia con le tragiche vicende storiche: l’anelito alla libertà, la persecuzione dei “rivoluzionari” ispirati dai francesi e da Napoleone; la crudeltà del mellifluo barone Scarpia, capo della gendarmeria papalina.
A Torre del Lago le prossime repliche sono in programma in agosto: 1, 9, 29.
Prezzi e cast su https://www.puccinifestival.it/edizione-2025/tosca/