sansotI lenti una volta non godevano di buona fama. Venivano giudicati impacciati, maldestri, anche se eseguivano gesti difficili. Tutti li ritenevano goffi, anche quando procedevano con una certa grazia nel camminare.

Direi che nemmeno oggi i lenti godano di buona stampa e lo dice a malincuore uno che la lentezza la pratica poco ma la porta in ogni caso in palmo di mano. Non a caso, tra l’altro, uno dei libri che da sempre mi è tra i più cari è “La scoperta della lentezza” di Nadolny Sten, splendido romanzo su John Franklin, grande esploratore e navigatore nella sua lentezza.

A questo concetto, che può diventare virtù e stile di vita, rende però un buon servizio un libro del saggista Pierre Sansot, uscito per Il Saggiatore. Copertina eloquente, titolo ancora di più – “Sul buon uso della lentezza” – per non dire del sottotitolo: Il ritmo giusto della lentezza.

L’autore è un filosofo e antropologo francese, cosa che faceva prospettare un qualche rischio di astruseria. Invece no, perché il libro scorre bene, divaga il giusto, va al punto senza puntarci mai direttamente.

Nei vari capitoli si tratta dell’andare a spasso – che non significa fermare il tempo, ma adattarlo a noi senza lasciare che ci metta fretta – così come della noia che fa bene – quella in cui ci si stira voluttuosamente, per cui si sbadiglia di piacere, tutti felici di non avere nulla da fare, di rimandare a più tardi le cose che non sono urgenti.

Si parla della vita di provincia, del buon vino che ha tempo dietro e che con il giusto tempo va assaporato, dell’arte del poco, che non è cosa da poco, perché per alcuni è la condizione che permette di tirare fuori una particolare creatività. E si arriva alle idee di una cultura dolce, facoltativa, silenziosa, per non dire di un’urbanistica ritardataria.

Un libro che non spalanca nuovi mondi, ma che permettere di vivere più comodamente nel nostro mondo.  Da leggere, vabbene lo dico, con piacevole lentezza.

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