“Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino uscì nel 1973 e tutt’oggi rappresenta un capolavoro tra i tanti dello scrittore che si cimentò all’epoca con la letteratura combinatoria intersecando parole e tarocchi in un prezioso scrigno di pagine. A quarant’anni dall’uscita di quel libro, nella città che diede l’ultimo saluto a Calvino nel 1985, si sta scrivendo un altro libro il cui titolo potrebbe essere “Il Monte dei destini incrociati”. Un capolavoro di finanza combinatoria  intersecando numeri e progetti per uno scrigno, però, che ha già perso il suo prezioso valore. Un libro scritto a più mani, fatto di storie e colpi di scena, avvicendamento di personaggi, un pizzico di giallo e, soprattutto, la cui lettura è soggetta ad interpretazioni di ogni genere. Proprio come quei tarocchi che Calvino cercava di mettere in ordine logico affinché raccontassero storie, nella consapevolezza, però, che le stesse storie nascono da «un numero finito di elementi – ebbe a dire lo scrittore – le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi».
 
Incroci pericolosi I destini incrociati sono quelli di una banca e di una Fondazione che, per anni, sono stati vanto, lustro e motore di sviluppo per una città, il suo tessuto economico e sociale. Ma i destini si sa, non si possono scrivere come i libri e sono volubili, proprio come le carte dei tarocchi, ad un soffio di vento. Il vento è cambiato e con lui i destini che qualcuno, in passato, aveva avuto la pretesa di voler scrivere.
 
Il mazzo di tarocchi di Rocca Salimbeni La banca ha scelto un nuovo piano industriale i cui connotati sono ormai noti e mal digeriti su più fronti. Specie quel capitolo del taglio dei costi del personale che prevedono ulteriori 5300 esuberi. E anche se di licenziamenti non si parla fino al 2017, prepensionamenti e soprattutto esternalizzazioni sono le carte che alcune sigle sindacali vorrebbero far sparire dal mazzo. Lunedì è atteso un nuovo incontro tra vertici della banca e sigle sindacali. Ma il destino di Rocca Salimbeni sembra giocarsi ben lontano da Siena con uno Stato pronto a entrare dal portone principale attraverso la chiave dei Monti Bond ed un’Europa che ha dettato tempi e modalità di un possibile salvataggio. L'Italia però ancora non ha notificato alla Commissione europea il piano per la ristrutturazione. I contatti con l'esecutivo comunitario, chiusi da inizio a ottobre, hanno prodotto un piano che in linea di principio dovrebbe essere accettabile per la direzione generale per la Concorrenza. Ma perchè la Commissione europea possa ufficialmente esprimersi occorre la presentazione formale delle misure messe a punto dai tecnici del Ministero dell’Economia e quelli comunitari. A oggi però a Bruxelles ancora non è stato notificato nulla, e si aspettano le carte. Non c'è una scadenza definita per la presentazione del piano di ristrutturazione, ma la Commissione auspica che possa arrivare il prima possibile così da poter mettere la parola fine al dossier. Intanto fuori dal tavolo di gioco del risanamento dove si sono disposti i tarocchi, possibili azionisti stanno a guardare con occhio interessato e pronti a sedere sullo stesso tavolo al momento opportuno per giocare carte e denari, studiando spread e titolo in borsa.
 
Il mazzo di tarocchi di Palazzo Sansedoni Vendere. Ma a chi, quanto e a quali condizioni? Nel destino della Fondazione incrociato con quello della banca sembra certa la volontà di dismissione delle quote azionarie per salvare il salvabile. Di fronte ad una ricapitalizzazione da 2,5 mld della banca che ghigliottinerebbe l’ente di Palazzo Sansedoni, la presidente Antonella Mansi, la deputazione amministratrice e la deputazione generale sembrano intenzionati a «mettere in sicurezza» l’ente diversificandone il patrimonio. Ma i tempi stringono dato che il 14 novembre Banca Mps presenterà la terza trimestrale e che due settimane prima scatta il blocco delle operazioni. L’altra emergenza è quella di azzerare il debito da 350 milioni con le banche creditrici. Ma ciò che scuote il destino della Fondazione è un nuovo tarocco che mai era stato presente nel mazzo dei giocatori di Palazzo Sansedoni: la dismissione totale delle quote di banca. E’ sul tavolo e giocarlo significherebbe, non solo ripianare i debiti, ma avere anche una base stimabile di 600 milioni da cui ripartire. Mentre qualcuno grida allo scandalo questo vorrebbe dire salvare la Fondazione, rompere quell’incrocio di destini con la banca e guardare necessariamente al futuro con occhio diverso accantonando gli utili per un po’ di tempo in maniera tale da rinforzare il patrimonio, avere un po’ di liquidità e, perché no, tornare alle erogazioni che necessariamente non saranno più copiose come una volta.
 
Occhi attenti fuori dal tavolo e fuori d’Italia Fuori dai tavoli su cui sono disposti i tarocchi in tanti osservano gli incroci. Sempre più insistenti sarebbero le voci di soggetti pronti a inserire sul tavolo carte e denari osservando di pari passo spread e borsa. A propria convenienza, ovvio. Le posizioni di banca e Fondazione non sono così forti. E se il destino degli enti è giocato in Europa il cash per sedersi al tavolo potrebbe essere con ogni probabilità derivante da ancor più lontano. L’occhio sui tarocchi viene dal Medio Oriente dove, a quanto sembra, ci potrebbero essere fondi sovrani in attesa. A guardare gli intrecci delle carte non sono solo i possibili investitori ma anche, nuovamente, politici e amministratori. E se in passato abbiamo assistito a scontri di opinion leader sul mantenimento del 51% della banca da parte della Fondazione, sull’abolizione del tetto di voto del 4% a Rocca Salimbeni, su senesità, toscanità, italianità, azioni di responsabilità, nell’immediato futuro è pronto accanto al tavolo un ricco parterre di sedie per chi vuole commentare se sia più giusto salvare questo o quello dove, questo e quello, in passato non hanno dettato il giusto intreccio dei tarocchi e dei destini.
 
Un finale da scrivere Sul tavolo delle carte incerte, nel binomio tutto calviniano di ordine e caos,  si dispongono i tarocchi nella speranza di leggere “Il Monte dei destini incrociati” il cui finale deve essere ancora scritto ma…
 
«La forza dell'eremita si misura non da quanto lontano è andato a stare, ma dalla poca distanza che gli basta per staccarsi dalla città, senza mai perderla di vista»
I. Calvino (Il castello dei destini incrociati)

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