Si erano trasferiti in Toscana ma «prestavano servizio» per il clan dei Casalesi. Sono state arrestate questa mattina 18 persone con l’accusa di favorire le infiltrazioni della camorra in Versilia. Le indagini, coordinate dalla Dda di Napoli con le squadre mobili di Caserta e Firenze hanno portato anche al coinvolgimento di due poliziotti in servizio alla Presidenza del Consiglio e alla Camera dei Deputati, finiti ai domiciliari con l’accusa di avere rivelato informazioni coperte da segreto istruttorio. Gli imprenditori finiti al centro dell’inchiesta, tutti originari di Gricignano D’Aversa, erano diventati il punto di riferimento dei Casalesi in Toscana. Le indagini sulla violazione del segreto istruttorio e sulle attività dei due agenti di Polizia si incrocerebbe – secondo indiscrezioni – con la vicenda della latitanza di Amedeo Matacena, che vede coinvolto l’ex ministro Scajola.

I reati contestati ai poliziotti Secondo gli inquirenti avrebbe anche reso informazioni segrete a politici, imprenditori e alte cariche di apparati pubblici. Dati che carpiva anche da altri uffici e da colleghi per poi comunicarle all’esterno. Al poliziotto in servizio presso la Camera dei Deputati (Ispettorato Generale di PS) viene contestato di essersi introdotto illecitamente nella banca dati per verificare i precedenti penali di una persona e acquisire informazioni su eventuali procedimenti penali e indagini nei suoi confronti. Tra i destinatari dei provvedimenti emessi dal gip di Napoli (14 in carcere e 4 ai domiciliari), figurano persone ritenute dagli inquirenti affiliate alle famiglie Schiavone, Iovine e Russo del clan dei casalesi. Contestualmente agli arresti la polizia sta anche effettuando delle perquisizioni. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip di Napoli Tullio Morello su richiesta dei pm della DDA di Napoli Cesare Sirignano, Antonello Ardituro e Alessandro Milita, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, detenzione di armi, estorsione, traffico e spaccio di stupefacenti. I due agenti della Polizia di Stato sono accusati di favoreggiamento e rivelazione di segreto alcune ritenute legate al clan dei Casalesi.

Il ruolo degli imprenditori Dalle indagini della Polizia, svolte in numerose localita’ del territorio nazionale, e’ emerso che un gruppo di imprenditori provenienti dalla zona di Gricignano d’Aversa (Caserta) da oltre 30 anni in Toscana (in particolare insediatisi in Versilia) erano ormai diventati un punto di rifermento per gli affari illeciti del clan dei Casalesi, in particolare delle famiglie camorristiche Schiavone, Iovine e Russo. Fornivano supporto logistico, agevolavano la latitanza degli affiliati, anche di quelli di caratura. Grazie a loro, il clan e’ riuscito a introdursi nel tessuto economico di quella regione espandendo la sfera dei proprio interessi investendo ingenti capitali in attivita’ commerciali e imprenditoriali. Tra le attivita’ illecite messe in campo non mancava l’estorsione: gli imprenditori vessati usavano chiamare gli emissari e i referenti del clan con gli appellativi di “Russia” e “Germania”. Ricostruiti numerosi episodi estorsivi, in particolari ai danni di vittime residenti a Viareggio: le richieste variavano dai 3mila ai 10mila euro. In un’occasione la richiesta del pizzo ha toccato addirittura i 40mila euro. A svolgere il ruolo di collettore tra il clan e le vittime era un imprenditore, Stefano Di Ronza (indicato anche da alcuni pentiti) che raccoglieva le tangenti e poi provvedeva a versarle nelle casse del clan.

I tesserini della Figc Nel corso di una perquisizione nell’abitazione di uno dei due agenti, sono stati trovati numerosi tesserini con il logo della Federazione Italiana Gioco Calcio. A lui, secondo gli investigatori, avrebbe fatto riferimento anche un funzionario della Lega Nazionale Dilettanti della Figc Calcio per chiedere informazioni su un calciatore extracomunitario. Caputo, sempre secondo gli investigatori, avrebbe anche fornito informazioni riservate riguardo il giro di false fideiussioni da 230 milioni di euro su cui ha indagato la Procura di Pescara. Altre notizie coperte da segreto, il poliziotto le avrebbe fornite a Francesco D’Andrea, fratello di un affiliato alla ‘ndrangheta già condannato per associazione mafiosa e traffico di cocaina. Grazie alle sue soffiate, infine, un carrozziere casertano vicino al clan dei Casalesi sarebbe riuscito a «bonificare» alcune vetture usate dagli affiliati dalle «cimici» sistemate dalle forze dell’ordine nell’ambito di indagini sulle attività illecite della camorra casertana.

Il collegamento con l’ex ministro Scajola Le indagini sulla violazione del segreto istruttorio e sulle attività dei due agenti di Polizia – ai domiciliari nell’ambito di una indagine della DDA di Napoli sulle infiltrazioni della camorra casalese in Versilia si incrociano – secondo indiscrezioni – con la vicenda della latitanza di Amedeo Matacena, che vede coinvolto l’ex ministro Scajola. Anche in quel caso, infatti, è emersa l’ipotesi dell’esistenza di una talpa che avrebbe fornito informazioni riservate all’ex ministro. Al momento si tratta di un’ipotesi tutta da verificare ma sulla quale è concentrata l’attenzione degli investigatori.

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