PIETRASANTA – Seduto al caffè Michelangelo, in piazza Duomo, Kan Yasuda sorseggia un cappuccino. E’ il tocco – l’una del pomeriggio – ma vorrebbe che fossero già le sette, l’ora dell’aperitivo, del gelato tardivo, delle chiacchiere pigre. Gli artisti, che ancora odorano di scalpelli, marmo, bronzo, cera, si mescolano ai turisti, ai residenti.
A quell’ora ci si incontra, ci si conosce con facilità, ci si dà appuntamento per il dopocena in ogni lingua.
“Dovresti venire alle sette a vedere la mia mostra” dice, con quell’italiano che in oltre cinquanta anni non ha perso la gentilezza atavica del Giappone. L’invito lascia intuire un’impazienza insolita. Non è il tono di voce. E’ il guizzo negli occhi che condivide con Giorgio Angeli, l’amico di sempre, l’artigiano che, da quando lo scultore era studente di Pericle Fazzini a Roma, gli trasforma idee, visioni, bozzetti in opere d’arte.

“Kan mi venne a cercare 51 anni fa, perché io già lavoravo il marmo – conferma Angeli – e collaboravo con Cascella, Tarabella, Giò Pomodoro. Kan voleva realizzare una testa (una delle sue teste astratte) in bianco statuario. L’ abbiamo realizzata”. Come la maggior parte delle opere d’arte (35) della mostra “Oltre la forma” che fino al 21 settembre è in corso a Pietrasanta. Le sculture sono disseminate sul territorio: due a Marina di Pietrasanta, zona pontile: una è proprio in cima, alla rotonda, nel mare, proiettata verso l’orizzonte, monumento all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Poi ci sono tutte le sculture in centro: in piazza Carducci, in piazza Duomo, appunto, nella chiesa e nel chiostro di Sant’Agostino, che rappresentano una straordinaria quinta della stessa piazza, in piazzetta San Martino (dietro il campanile).
All’ora del desinare Kan fissa proprio le sculture di piazza Duomo, mentre suggerisce l’orario migliore per visitare la sua mostra: le sette del pomeriggio. Ci sono quelle forme plastiche, arrotondate, irregolari, morbide, appiattite, verticali che qualcuno chiama, per brevità, “sassi”. Sono di marmo, di granito, di tante pietre diverse. Ma non è questo che importa in questo momento, anche se farle uscire dalla montagna e renderle così è costato tanto tanto lavoro. “Bisogna venire alle 7 e anche dopo – spiega Kan Yasuda – perché è l’ora dei bambini”.
Di quelli che davvero, da subito, hanno capito il senso della sua arte: viverla, invece di comprenderla. E quando si dice per primi è perché già 30 anni fa, in occasione della prima grande personale di Kan Yasuda a Pietrasanta, erano stati i primi ad avere l’approccio giusto, diretto, giocoso, informale e rispettoso per queste opere d’arte su cui ogni critico e ogni intellettuale ha qualcosa da dire. L’artista e scrittore Bruno Munari – cita lo stesso Yasuda – “scrive che un’opera che non rappresenta nulla (di specifico) contiene il tutto. Non c’è un solo significato, ma centomila stimoli in base al momento. Ecco io vorrei che le mie opere fossero questo: un’esperienza, perché l’esperienza ce la ricordiamo. Il titolo di una scultura no”.
Lo scultore sottolinea questa frase con un sorriso birichino, mentre si avvia con l’amico Giorgio Angeli a fare due passi fra le sue opere. “Nel fine settimana appena passato – racconta – la piazza era piena di bambini che sulle sculture si sdraiavano, si arrampicavano, saltavano, giocavano. Proprio come facevano i bambini trenta anni fa alla prima mostra di Pietrasanta e come poi hanno fatto i bambini quando le opere hanno girato in tutto il mondo. Ma la cosa bella è che molti dei bimbi che hanno giocato in questi giorni con le mie sculture sono i figli di quei bambini. Qualcuno mi ha avvicinato e me lo ha detto: “Sai Kan, io tanti anni fa ho fatto la stessa cosa. Ed è bellissimo”. Lo scopo dell’arte – secondo Yasuda – infatti è che le opere si devono vivere, sentire con la pelle, con il cuore. Una sfida quanto mai semplice, visto che i suoi sassi sono velluto di pietra. E anche le sue “porte” che hanno nomi giapponesi (come i sassi, ad esempio “Ishinki”) sono inviti al gioco, al di là dei significati. “Non ci si deve perdere dietro alla ricerca del significato o della traduzione – prosegue Yasuda – perché se ci concentriamo sulla conoscenza razionale, non viviamo l’esperienza. E non ci ricorderemo quello che avremo visto”.

Per questo Yasuda non ha messo cartellini con i nomi alle sculture. Tutte anonime. Perché ciascuno di noi possa nominarle, definirle (se vuole), ricordarle a proprio piacere. “Niente nomi – ammette – niente definizioni. Vorrei essere io a chiedere a chi viene alla mostra “Che cosa è per lei la scultura?”. Vorrei chiederlo dai bambini di tre anni a chi ne ha cento”. Perché – ci ricorda lo scultore -l’arte va goduta, ci deve far divertire. Vale di sicuro per quel gruppo di ragazzi tedeschi in vacanza che si fa una foto arrampicandosi su una scultura in piazza Duomo. Ma non sono poi, così, originali.

Anche Kan e Giorgio si divertono a giocare. Del resto, Kan è diventato bambino – finalmente, a 80 anni – insieme a Giorgio Angeli. E allora i due si buttano addosso a un sasso verticale e si divertono a fare gli angeli della neve, montano e scendono dalle sculture, come alle 19 – giuro – fanno due fratellini in calzoni corti e maglietta. A un certo punto picchiano (i fratellini) anche il pugno chiuso sul “sasso di marmo” e poi si battono sulla testa: non hanno deciso quale dei due tondi sia più duro. L’importante è che non si sia spaccato né uno né l’altro. E riprendono l’arrampicata, reclamando una foto in cima, con le dita a V di vittoria, avendo scalato il loro chissà cosa.

Più in là – come aveva predetto Yasuda – una signora anziana si siede su un sasso piatto a riposare e dopo poco arriva una mamma con una bimba di pochi mesi. Ed è subito amicizia. In un attimo questi episodi si moltiplicano. Il vero spettacolo che fa pulsare la mostra. La fa risuonare. E a proposito, c’è, in piazzetta San Martino, un’altra scultura con un grande buco. La tentazione è fortissima. Kan Yasuda ci si infila. E ci fa vedere come si può usare. Ma si può suonare anche come un tamburo. Con o senza bacchette. E’ una questione di immaginazione. E di libertà. Una, nessuna o centomila.
Kan Yasuda
Giapponese di nascita, versiliese di adozione, Kan Yasuda è lo scultore per antonomasia. Quello che – per dirla con Renzo Piano (atteso a giorni a visitare la mostra di Pietrasanta) – si sceglie con cura anche la materia da estrarre dalla montagna, prima di iniziare ad abbozzarla, lavorarla, levigarla. Con un lavoro lento, accurato, insieme a Giorgio Angeli, amico da mezzo secolo e titolare dell’omonimo laboratorio artistico di marmo. In Italia dal 1970, grazie a una borsa di studio del governo italiano, Yasuda scopre quasi subito i laboratori di marmo e poi le fonderie di Pietrasanta e qui decide di trasferirsi, realizzando a Pietrasanta una indimenticata mostra “Open air” nel 1995 (poi replicata nel 1997). Oggi a 30 anni di distanza Yasuda torna con un’antologica di 35 sculture, in marmo e bronzo, con alcuni pezzi portati anche da Giappone. In occasione di questa mostra, l’amministrazione comunale gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

Da quando è attivo a Pietrasanta, infatti, Yasuda ha realizzato opere per mostre di grande risonanza nel mondo: a Milano (1991), Firenze (2000), Tokyo (2001), Assisi (2005), Roma (mercati di Traiano 2007) e poi a seguire Torino, Sapporo, Taormina, New York, Pisa e così via. Nel 2000 Kan Yasuda firma anche la scenografia (pluripremiata)del capolavoro di Puccini “Madama Butterfly”, inaugurando il progetto “Scolpire l’opera” del Festival Pucciniano di Torre del Lago.
La mostra
La mostra “Oltre la forma” di Kan Yasuda resterà aperta fino al 21 settembre 2025 a Pietrasanta. Parte delle opere è all’aperto, visibile a Marina di Pietrasanta (zona pontile) e a Pietrasanta centro: all’ingresso, in piazza Carducci, in piazza Duomo, in piazzetta San Martino. Parte della mostra, inoltre, si sviluppa all’interno della chiesa e del chiostro di Sant’Agostino con il seguente orario: lunedì-sabato: 9-13; 19-24; domenica: 10-13; 19-24. L’ingresso è gratuito.