“All’uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri”, cantavamo agli inizi degli anni 70. Anche perché quei libri, ieri come oggi, se non venivano venduti erano eventualmente destinati ad alimentare le muffe di cantine e soffitte, ma quasi mai a guadagnarsi il dignitoso scaffale di una libreria. Inesorabile destino dei libri scolastici, a torto o a ragione ritenuti dei non-libri. Eppure costano un’esagerazione, e come nel caso dei manuali di letteratura italiana (questo è l’argomento che più ci preme) rappresentano un significativo punto di osservazione riguardo a ciò che gli specialisti chiamano il “canone letterario”, ovvero rispetto alla compilazione di una lista di autori considerati irrinunciabili per comprendere il formarsi di una cultura nazionale. Questione che riguarda principalmente il Novecento, secolo che piace ormai definire “breve” e che in letteratura sembrerebbe esserlo quanto mai, superando a malapena la soglia dei sessant’anni.
Accade così che nelle scuole superiori, la conoscenza della letteratura del secondo Novecento sia pressoché affidata alla sensibilità, agli interessi, alle “stravaganze” di qualche insegnante, poiché in mancanza di un canone anche scolastico si procede zompando tra Svevo, Pavese, Moravia, Calvino e quant’altri. Eppure l’istituzione scolastica, interagendo con la critica maggiormente qualificata, dovrebbe essere il principale soggetto in grado di trasmettere un patrimonio letterario definito e condiviso.
Certo è che la costituzione di un canone non può essere condotta con sbrigativi e contingenti criteri… calcistici, del tipo “esce Pratolini entra Landolfi”. Si tratterà, infatti, di formare una ideale biblioteca del Novecento che testimoni anche la “percezione” che in questo secolo si è avuta del valore di un testo letterario, in rapporto, quindi, a certi mutamenti culturali, antropologici, di immaginario collettivo. La letteratura diviene allora chiave di interpretazione della contemporaneità, costituisce giudizio, testimonianza e trasmissione di una memoria. E nel dinamismo, nella dialettica che tali processi critici suscitano non si addiverrà soltanto a una lettura della contemporaneità, ma addirittura ad una reinterpretazione del “trascorso”, cosicché non possa escludersi pure una riformulazione di ciò che è il canone letterario preso in tutto il suo arco storico, dalle origini ad oggi. Poiché anche in tal caso vale la constatazione che George Orwell fece esprimere a Winston, il protagonista di 1984, il quale ripensando a un decennio appena trascorso prendeva atto di come “il passato non solo cambiava, ma cambiava in continuazione”.

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