I nuovi dati Istat diffusi oggi sulla contabilità nazionale del Paese mettono in rilievo una dinamica positiva del valore aggiunto agricolo che lascia ben sperare. Un’inversione di tendenza che non si registra nel resto dell’economia e che “marca” un +0,6% tra il 2012 ed il 2013 a valori costanti, mentre il totale del Pil nazionale si contrae di quasi il due per cento (v. elaborazione del CSC). Per il settore agricolo, nonostante la crescita recente, siamo comunque, in termini assoluti, ad un livello di valore aggiunto praticamente identico a quello del 2009. Come dire che in questi cinque anni non è stata creata ricchezza. Mentre calano notevolmente nello stesso periodo le unità di lavoro impiegate (-7% rispetto al 2009), comunque meno di quanto flettono per industria e costruzioni (rispettivamente -10% e -16%). Al di là del fatto che la contrazione è inferiore a quella registrata negli altri settori produttivi, si può considerare questo dato anche una come una conferma della razionalizzazione e dell’introduzione di innovazione labour saving nei processi produttivi del settore. Preoccupa invece in prospettiva la netta flessione dei consumi alimentari che si riducono del 3,5% rispetto al 2012 e di quasi l’8% (-7,8%) rispetto al 2009 in termini reali. Un fenomeno che si registra da alcuni anni e che supera la flessione complessiva dei consumi che si è attestata intorno al 5%. Le famiglie italiane stanno spendendo molto meno per l’alimentazione ma probabilmente stanno anche razionalizzando il loro “carrello della spesa” magari qualificandolo.

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