Povero Sallustio, con la valigia in mano, come Papa Francesco. Lui che da quel piedistallo ne ha viste di tutti i colori e che da piazza Salimbeni ne ha visti venire e andare tanti non avrebbe mai pensato che sarebbe venuto anche per lui il tempo di andare.

Povero Sallustio, cui hanno voluto bene come ad un babbo protettore tanti studenti che dietro le sue marmoree sottane si nascondevano per vedere non visti il passeggio del Corso nelle mattinate di salatino.

Povero Sallustio, ormai non ci sarà più posto per lui nella nuova banca. Una banca che, a sentire le parole dell’Amministratore delegato, Fabrizio Viola, «non potrà più appartenere a Siena, servirà del capitale e andrà cercato al di là del territorio senese». A niente sono valsi secoli di risparmi fruttiferi e buona gestione. D’ora in avanti via Siena, via Sallustio (e via anche tanti dipendenti e dirigenti senesi). E avanti Montepaschi. Poi, forse, si cambierà pure il nome. Tanto cos’è in fondo un nome? Quando è ormai svillaneggiato ovunque nelle cronache come sinonimo di malaffare?

Di fronte a queste dichiarazioni ufficiali e non smentite, colpisce il silenzio assordante dei tanti che, invece, dovrebbero parlare. Il neo sindaco di Siena, Bruno Valentini, sembra ormai quasi del tutto privato di ogni interferenza sulla Rocca. Aveva provato a dire al presidente Profumo di rinviare il voto sul tetto del 4%, ma nello stesso giorno era partita la convocazione dell’assemblea dei soci. Sappiamo chi ha vinto la sfida. In Provincia, il presidente Simone Bezzini ha avallato da subito la scelta dell’abolizione e forse oggi non può parlare. Il silenzio lo manifestano  anche gli altri 35 sindaci della provincia, così come tutti i nuovi soggetti chiamati ad esprimere un nome per la nuova Fondazione. Nessuno si azzarda a replicare alla perentoria affermazione: «Mps non potrà più appartenere a Siena».

Pare incredibile, ma ad oggi il silenzio è totale. Anche delle forze, politiche, sociali e di opposizione. Mentre sulla Fondazione continua a regnare uno strano riserbo. Gli “11 dissidenti” riuniti fino a ieri notte per limare il documento che avrebbe dovuto togliere il velo su questi anni di gestione di Palazzo Sansedoni alla fine sono rimasti in silenzio. Muti ad ascoltare la relazione del presidente Gabriello Mancini e del direttore generale Claudio Pieri. Eppure il documento c’era, ma ha prevalso il silenzio.

Perplessità, in effetti, si potevano avere a leggere il testo di quel documento che nulla diceva, ad esempio, sulle responsabilità di ognuno dei deputati e della stessa Deputazione generale, ma tutto era rimandato alla responsabilità degli altri o del destino cinico e perciò baro. Il mercato, il management (infedele?), Mussari, l'acquisizione di Antonveneta, la dissoluzione di Bam e Banca Toscana, la liquidazione di Biverbanca, lo stop alle attività redditizie quali quelle esercitate dalle controllate, apparivano solo responsabilità di altri. A volte il ruolo dovrebbe far assumere qualche responsabilità. A volte, non in questi casi a quanto pare. E alla fine è stato pure meglio che il documento non sia stato nemmeno presentato. E si sia preferito il silenzio.

Il tratto che caratterizza questa fase della vita pubblica della città è quasi una sorta di ineluttabilità delle scelte che contagia tutti, istituzioni, cittadini, dipendenti e persino clienti di Mps e li rende tutti muti. Come vittime della Medusa che, guardata negli occhi, rende impietriti, i senesi sembrano arrendersi al declino della città e alla perdita della banca, tanto da non aprire più nemmeno bocca.

Povero Sallustio, anche lui impietrito, dopo tanti anni non gli resta che traslocare. Con la valigia in mano come Papa Francesco. In quel caso l'immagine ci aveva avvicinato Qualcuno che abbiamo sempre sentito distante, in questo ci ammonisce che qualcosa che abbiamo sempre sentuto vicino se ne sta purtroppo andando lontano. E silente.

Ah, s'io fosse fuoco

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