Poveri in aumento, soprattutto tra gli italiani in Toscana. Un allarme annunciato qualche giorno fa dalla Caritas (leggi) che secondo Fabio Berti, professore di Sociologia al Dipartimento di scienze sociali, politiche e cognitive dell'Università di Siena, è segnale che qualcosa va cambiato «ripensando anche la tipologia di modello sociale da proporre e di cultura economica da diffondere».
 
Secondo la Caritas in Toscana ci sono 27mila poveri, aumentati di 10mila in soli sei anni. Quale è la prima interpretazione che si può dare a questi numeri?
«L’aspetto più evidente è che è definitivamente tramontato il tempo della "Toscana felix", di quando si guardava alla povertà e all'esclusione sociale come ad un fenomeno lontano, tipico delle grandi metropoli o dei Paesi sottosviluppati, nell'illusione che noi fossimo "diversi", vaccinati e immuni».
 
Andando più a fondo il rapporto Caritas sembra descrivere una società che sta cambiando soprattutto nel modo di accettare la crisi e situazioni sempre più precarie.
«Il dato oggettivo è senz'altro preoccupante, più nel dettaglio possiamo avanzare anche l'ipotesi di una trasformazione culturale: il fatto che sempre più italiani si rivolgono ai centri ascolto Caritas significa che "essere poveri" è entrato nell'orizzonte di senso degli individui e delle famiglie. Nella "cultura della crisi" essere poveri non è più una colpa e per quanto rappresenti una forma di disagio aggiuntivo al disagio (povertà oggettiva + bisogno di aiuto) ci si rivolge più facilmente ai servizi che vengono messi a disposizione».
 
Servizi che aumentano sempre di più, di pari passo con l’aggravarsi della crisi economica.
«Un dato positivo è che nonostante le difficoltà i servizi ci sono (anche se non sufficienti), come mostra l'esperienza dei Centri ascolto Caritas. Si tratta di un servizio ormai indispensabile che segna ancora una volta la centralità del Terzo settore rispetto alle amministrazioni pubbliche che non sempre hanno gli strumenti per rispondere ad emergenze di questo tipo. Come possiamo vedere dall'accordo siglato tra Regione e Caritas è lo stesso settore pubblico a riconoscere il ruolo del privato sociale».
 
Secondo lei è possibile che questi dati portino ad un cambiamento del modello sociale a cui fino ad oggi ci siamo ispirati?
«Assolutamente sì. Vista anche la tipologia delle richieste (problemi di indebitamento, richieste economiche) credo sia giunto il momento di ripensare il modello sociale da proporre e di cultura economica da diffondere. Mantenendo l'idea che la crescita economica è tutto e solo attraverso il rilancio dei consumi e attraverso la capacità di consumare si ha un ruolo in questa società, probabilmente le cose non potranno che peggiorare nei prossimi anni perché, come mostrano tutti i dati congiunturali la ripresa è ancora lontano. Bisogna imparare a gestire meglio le risorse scarse (anche all'interno delle famiglie), bisogna imparare a spendere meglio, bisogna acquisire valori capaci di allontanarsi con gradualità dall'imperare dei consumi e dell'idea che "di più" significa sempre "meglio"».

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