preteprofCinque anni fa, nell’anniversario della morte di Italo Calvino, abbiamo intervistato Antonio Prete, professore di letterature comparate all’Università di Siena. Oggi, nel trentesimo di quella notte in cui ci ha lasciato il celebre scrittore, abbiamo pensato di riproporla ai lettori di agenziampress.it per i contenuti ancora attuali e per la capacità interpretativa che lo stesso Prete ha dato della figura letteraria e non solo di Calvino

Conserva dentro di sé dei ricordi intimi e curiosi di Italo Calvino per averlo incontrato due volte per caso quasi a farne il personaggio immaginario di un suo libro. La prima nel 1970 sulla spiaggia di Ronchi mentre passeggiava con degli amici e lo scrittore giocava semplicemente a palla con la figlia quando il mare della Versilia faceva da sfondo alle riflessioni dei pensatori. La seconda nel 1978 a Parigi in occasione di un convegno sulla figura di Pasolini e, durante una pausa dei lavori, lo scrittore camminava su e giù solitario per il corridoio immerso forse nei suoi più profondi pensieri. C’è poi un terzo ricordo che neanche l’ineffabilità del tempo o quella dell’immaginazione potrà cancellare ed è la risposta scritta che lo stesso Calvino gli inviò a seguito di un articolo scritto su “Palomar” nelle pagine de Il Manifesto nel 1983. «Caro Antonio Prete, ho visto solo ora il suo articolo sul Manifesto del 28/2 e sono molto contento perché è uno dei pochi articoli che sento veramente in sintonia col libro. Sono contento anche dei riferimenti leopardiani perché le Operette morali sono il libro da cui deriva tutto quello che scrivo. La Ringrazio Moltissimo». Così scrisse Calvino ad Antonio Prete e da qui nasce la volontà di farsi raccontare proprio dal professore, oltre i ricordi e oltre gli scritti, chi è stato Italo Calvino, cosa rappresenta o ha rappresentato nel mondo della letteratura e nella società, quale può o deve e essere la sua lettura.

Calvino è stato uno degli ultimi scrittori che ha saputo interpretare al meglio il ruolo dell’intellettuale nella società, fu indubbiamente impegnato sul piano politico, civile oltre che culturale. Che lezione se ne ricava oggi da questa sua testimonianza?

«Lui ebbe un modo tutto suo di vivere l’impegno intellettuale, un modo differente da quell’idea diffusa negli anni ’50 e ’60 di impegno militante, appoggiato ad una causa, eventualmente ad un partito, con pubbliche dichiarazioni, prese di posizioni costanti. Dopo la fase giovanile di appoggio al partito comunista ebbe un atteggiamento molto libero e critico senza mai rinunciare alla posizione di lettura e interpretazione della società italiana e dei suoi movimenti. Il suo impegno fu vissuto non dalla parte di uno schieramento ma dalla parte del soggetto uomo, del soggetto cittadino, del soggetto anche astratto fatto della semplice condizione umana. Il suo impegno va ricercato soprattutto nella scrittura, e nelle forme della scrittura attraverso le quali, della sua lettura della società italiana, non se ne poteva fare a meno, ieri come oggi. Una figura intellettuale per cui la prima responsabilità era quella nei confronti del proprio lavoro. Da qui il rigore nella scrittura, nella ricerca legata alla scrittura, la responsabilità verso quei temi che affronta che, seppur sotto l’aspetto metaforico o immaginario, sanno toccare nel vivo la condizione umana. Un esempio su tutti “Il sentiero dei nidi di ragno” che nasce indubbiamente dal periodo della Resistenza ma la sua struttura narrativa è intessuta sull’immaginazione. Lo scrittore in quanto tale non è un politico ma può prendere posizione attraverso quello che scrive. Calvino ci ha dato questo esempio».

Ci sono oggi in Italia scrittori simili? 


«Oggi si cercano scappatoie, la scrittura è diventata indubbiamente un mezzo di rappresentazione della realtà o di denuncia seppur con forme narrative diverse. Questo non vuol dire che abbiano meno efficacia. Basti pensare a “Gomorra” di Saviano, anche quella è una presa di responsabilità non attraverso il racconto ma attraverso la denuncia e l’inchiesta. Non esistono casomai altri esempi nel campo della scrittura inventiva. Il mercato editoriale oggi ha incanalato l’immaginazione verso i generi letterari trovando anche una forte complicità negli scrittori».

Il Calvino scrittore ha abbracciato diverse tendenza letterarie, dal neorealismo al postmoderno, dandogli comunque un tocco di novità o diversificazione. Qual è stato in questo senso il suo percorso di ricerca?

«Una linea costante è stata quella della necessità di affidare alla scrittura un movimento di conoscenza e, contemporaneamente, d’immaginazione. In questo senso Calvino s’ispira, a mio parere, alla grande letteratura dei moralisti. Lui è stato uno scrittore che ha avuto una grande chiarezza e limpidezza proprio perché si sente in lui il compito della comunicazione nei confronti del lettore. Ma cosa deve comunicare? Innanzi tutto che l’universo dell’immaginazione è un universo del sapere e nell’immaginazione c’è anche una conoscenza che è anche moralità. In questo, seppur con le dovute differenze, non lo vedo molto lontano da Pasolini nonostante i due siano stati messi spesso in contrapposizione. Quello di Calvino è stato un cammino dentro la letteratura ma sempre con grande finezza, profondità, eleganza, attenzione, ironia e gioco. Ha saputo cogliere tutte le dimensioni della letteratura, da quella ludica a quella drammatica passando anche da quella utopica che ci permette di vivere quel tanto di vita che non ci è dato vivere. Offrire tutto questo al lettore è stato un compito ed una responsabilità forte, ecco perché Calvino è stato un grande scrittore».

Non c’è un’età per leggere Calvino. Ma quanto c’è di fiabesco e quanto invece di reale nella lettura dei suoi libri? E qual è il vero Calvino tra quello immaginario della più conosciuta trilogia o quello filosofico di “Palomar”?

«E’ difficile distinguere, il fiabesco e il ludico si spingono fino all’allegoria e alla rappresentazione della realtà e del caso. Il fantastico in Calvino non è un genere ma una modalità di conoscenza e rappresentazione del mondo. Il mondo fantastico di Calvino è per tutte le stagioni perché ha dietro di sé un orizzonte allegorico con la sua moralità. “Palomar” è stato il trionfo dello scrittore riflessivo in cui il pensiero diventa respiro» .

A margine di tutte le considerazioni sulla suo modo di scrivere, sul suo impegno intellettuale e sulla sua figura, come definirebbe Calvino?

«Leggere i suoi libri è come guardare la luna piena chiedendosi perché tante ombre sulla terra. La sua scrittura è una ricerca di luce, chiarezza, meraviglia, armonia e piacere con la consapevolezza che ci sono delle ferite che la scrittura stessa non può sanare».

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