“Dopo 15 giorni di guerra, morte, distruzione e rischi di incidenti nucleari, è arrivato il momento di dire basta. La violenza genera solo violenza. È il tempo della mediazione. L’Unione Europea deve iniziare ad essere mediatrice tra Ucraina e Russia.

I corridoi umanitari, le marce per la pace, gli slogan e i tweet sono importanti, ma non bastano. Vorrei vedere più politica. Credo che non sia possibile proseguire oltre sulla strada intrapresa. A mio avviso non servono altre armi o azioni militari, se non per determinare ulteriori morti. Alle tante, troppe, vittime innocenti non devono sommarsi altre vittime. Serve la politica con la P maiuscola, l’arte di mediare. Occorre fermare la guerra e accettare che la mediazione non è una sconfitta ma una vittoria. La guerra porta solo dolore e distruzione, va fermata.
Alla condanna dell’invasione russa, dell’uso delle armi, come Europa dobbiamo reagire da europei.

La strada da percorrere a mio avviso è quindi quella della mediazione. E a farla deve essere l’UE, nonostante sembri mancare un proprio, autonomo, collocamento strategico mondiale. L’Unione europea non può tollerare un’ulteriore escalation di violenza e morte. La nostra identità culturale può e deve svolgere un ruolo di mediazione posizionandosi come baricentro globale. È un ruolo che va assunto con azioni concrete. Solo così in futuro l’Europa potrebbe anche ulteriormente allargarsi ad Est, senza essere vista come nemica di parte. Se l’Europa percorre questa strada, la mediazione, la risoluzione di questo conflitto potrebbe anche aprire agli Stati Uniti d’Europa.
Ormai la resistenza ucraina c’è stata, è un dato di fatto, è stata eroica. La storia riconoscerà al popolo ucraino questo merito. Il futuro di un popolo però non si costruisce a colpi di fucile, missili e carri armati, ma con percorsi democratici complessi, articolati, strutturati, partecipati e non lesivi della dignità e dell’umanità. La storia è maestra anche in questo. I percorsi democratici e civili iniziano dal cessate il fuoco, prendendosi magari il merito di mettere fine a questa guerra che altrimenti potrebbe non finire per lungo tempo.

Il rischio concreto dell’escalation di fuoco e morte a cui stiamo assistendo è arrivare tra qualche mese o anno a riconoscersi in un trattato di pace? È possibile ipotizzarlo da subito? Io credo di sì. Il costo del riconoscimento dell’indipendenza di alcuni territori, a mio avviso, è meno caro della perdita di migliaia di vite e della determinazione di milioni di profughi”.

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