archive-pa60097-1In Inghilterra, questo week end, hanno giocato con il papavero rosso stampato sulle magliette. E’ il simbolo che usano per ricordare i caduti in guerra, nella prima domenica di novembre. Il silenzio che ha avvolto Anfield nel minuto di raccoglimento prima di Liverpool-Chelsea è stato da brividi. E’ un’usanza che in Italia si è persa del tutto: da noi si applaude freneticamente, svuotando il silenzio del suo contenuto più vero… Gli ultras, talvolta, ne approfittano per fanculeggiare l’avversario (o i napoletani). Per evitare imbarazzi, ho visto arbitri chiudere dopo nemmeno trenta secondi.

C’è una storia molto bella, legata alla guerra e al football, e vale la pena raccontarla in questo lunedi piovoso (e quindi un po’ anglosassone, oh yeah)… E’ la storia di Bert Trautmann, che fu portiere del Manchester City dal 1948 al 1964 e che da quelle parti ricordano come il migliore che abbiano mai visto… Era il Manchester City più classico, quello che tutti noi abbiamo conosciuto prima che i petrodollari degli sceicchi lo trasformassero in una multinazionale. Una squadra sfigatina e perdente, nella loro maglietta azzurro sbiadito, all’ombra dei potentissimi Diavoli Rosso Fuoco dello United.
Trautmann era un portiere fantastico… Una volta, in Coppa di lega, un bestione del West Ham gli rovinò addosso in uscita e gli fracassò il cranio (!). Rimase in campo in quelle condizioni a difendere la porta fino all’ultimo, senza essere battuto. Finita la partita fu trasportato d’urgenza all’ospedale dove gli salvarono la vita per un pelo. Era un atleta esemplare, capace di gesti tecnici che rasentavano l’eroismo, eppure… eppure… non c’era stadio dove la gente non gli vomitasse addosso di tutto. I tifosi si piazzavano dietro la porta del City e gli sputavano addosso. Talvolta intervenivano i “bobbies” a fermare qualche scalmanato che tentava l’invasione di campo per picchiarlo.
Perché Trautmann era tedesco. Ed essere tedeschi in Inghilterra, appena finita la guerra, non era una passeggiata di salute. “Nazista bastardo” era la cosa più gentile che potesse ricevere.

Trautmann aveva trovato l’ingaggio grazie ad un sergente che lo aveva visto giocare in un campo di prigionia, e lo aveva segnalato ai dirigenti dei “Citizens”. Vi rimase per 545 partite, beccandosi di tutto e di più, ma senza mai venir meno al suo dovere di atleta e di sportivo. Era stato soldato della Wehrmacht, ed aveva impresso a fuoco il marchio della colpa. Ma fu un uomo e un calciatore esemplare.

Quando tornò, prima di morire, al “suo” Maine Road era vecchio e ormai aggredito dall’alzheimer. Difficile riconoscere in quella larva d’uomo ridotto in una carrozzina, uno dei portieri più meravigliosi del dopoguerra… Il pubblico rimase un po’interdetto. Poi cominciò un leggero mormorio… Nelle tribune tutti si alzarono in piedi e partì un applauso oceanico come non era mai stato tributato a nessuno. “Legend”, presero a urlare tutti.
Raccontano che il grande Bert Trautmann, nel suo ultimo barlume di lucidità, riuscì a commuoversi.

Ecco cosa è il calcio.

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