Il Santa Maria della Scala«La verità, ti fa male», cantava Caterina Caselli. E fa male la verità sul Santa Maria della Scala che emerge dalle interviste con Daniele Pitteri e Stefano Casciu a Siena Tv. Ma almeno, finalmente, verrebbe di dire, si ha l’impressione di essere di fronte alla verità. Nuda e cruda. Che parte anche da una constatazione: i soldi che sono stati finora spesi, quando c’erano quelli del Monte, sono stati spesi male. E ora che non ce ne sono più, c’è da ripensare e ricominciare da capo. Con meno sterile prosopopea. E tanta concentrazione realistica, anziché disperdersi nei mille rivoli della polemichetta d’occasione: ora mastercheffiana, ora ciclistica.

Quanti documenti sono stati scritti e diffusi sul Santa Maria della Scala negli ultimi quaranta anni? Quante parole sono state spese su questo che avrebbe dovuto essere,non solo un grande spazio museale, ma il trampolino per il rilancio della città? E quante schermaglie addirittura sulla forma giuridica del Sms: Fondazione sì, Fondazione no, Fondazione forse.

Tutto sostanzialmente inutile, sfoggio di promesse, ennesimo esempio del fallimento complessivo della classe non dirigente che ha le responsabilità del decadimento prima del Monte dei Paschi, e poi della città.

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Stefano Casciu

È questo ciò che viene oggettivamente da pensare alla luce dello tsunami di realismo, sempre benvenuto  – il realismo, non lo tsunami… – nella città della fuffa, che ci arriva dalla parole soprattutto di Daniele Pitteri, direttore da tre mesi del Santa Maria della Scala, nella mia intervista a “Di Sabato” su Siena Tv  (link).

Decisamente pragmatici anche i ragionamenti di Stefano Casciu, direttore del Polo Museale Regionale, che partendo dai progetti sulla Pinacoteca, dice sostanzialmente, in sintonia con Pitteri: «La Pinacoteca diventerà un museo e ci metteremo le opere del Seicento. Tra poco verremo a Siena con il Direttore Generale del Ministero dei Beni Culturali, incontreremo il Sindaco e ragioneremo delle nuove prospettive per il Santa Maria della Scala. Perché tutto il contesto è cambiato e il progetto finora sul tavolo è davvero molto vago, così come la convenzione del Duemila sul riuso del S.Maria della Scala è molto generica. C’è da definire un progetto comune che per ora non c’è». Dunque, primo punto: il progetto per il completamento del Sms, non c’è. Chiaro no?

Quindi, per tanti anni, Siena si è baloccata sul tema, senza un’analisi della fattibilità economica della operazione di completamento del restauro, riuso e rilancio del Santa Maria della Scala. Daniele Pitteri ci fa capire, nel corso dell’intervista a Siena Tv, con onestà intellettuale, dati di fatto e dovizia di spunti cronistici, che si riparte sostanzialmente da zero. Anzi, visti alcuni interventi malfatti nel recente passato, ci sarà anche da metter mano a correzioni sostanziali di interventi compiuti sulla base del progetto Canali.

E ci sarà addirittura da buttar giù ingombranti allestimenti addossati alla struttura e mai tolti, in occasione della mostra di Milo Manara (ottobre 2011-aprile 2012). Così come ci sarà da scavare nei meandri dei magazzini del Santa Maria della Scala, e ripulirli a fondo. Perché, vista la loro capacità, nel corso dei decenni sono stati gettati – da soggetti pubblici di vario tipo – manufatti, opere, ma anche paccottiglia affatto artistica, semplicemente perché non si sapeva dove metterli.

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Daniele Pitteri e Daniele Magrini

Pitteri dice con trasparenza, cose molto importanti, per il presente e per il futuro. Per il presente, afferma, sinteticamente: «Il Santa Maria ha bisogno immediato di una manutenzione programmata, che nonostante gli investimenti fatti negli anni passati, non era stata considerata. Se non si fa questa manutenzione sul Santa Maria, così come è oggi, si chiude». Chiari gli obblighi per l’immediato, no? E bisogna muoversi, agire rapidamente. Per una parte degli interventi d’urgenza ci sono due milioni recuperati dal bilancio comunale.

Poi, ecco il futuro, tutto da ridelineare progettualmente, in assenza soprattutto delle risorse che prima c’erano e ora no. Pitteri dice: «Abbiamo ventimila metri quadrati da recuperare. Si dovrà andare avanti per lotti e ci vorranno tanti anni. Ma prima di tutto ci sarà da valutare la sostenibilità economica, non degli investimenti, ma anche per la manutenzione programmata. Cosa che è mancata e che mancava anche nel progetto Canali».

E poi la questione, fondamentale, dei soldi: «Dovremo trovarli nel mondo – dice Pitteri – e ci vorrà molto tempo. Ma vorrei che ci si concentrasse sulla valutazione economica della situazione. Per completare il restauro di 20 mila quadri ancora da ristrutturare, ci vogliono circa 60 milioni. Di contro, se funzionasse tutto a restauro completato, per i limiti di capienza e sicurezza, potremo al massimo fare 250.000 biglietti all’anno, che al prezzo medio di 7 euro a biglietto, porterebbero ad un incasso di un milione e mezzo di euro all’anno. Proprio quanto è necessario solo per la manutenzione annuale». Chiaro no? Anche per tutti i ragionamenti sull’autonomia del Santa Maria della Scala.

Al termine del dialogo con Pitteri, ho ripensato alle parole che ho pronunciato l’11 febbraio 2014, invitato dal Rotary Est di Siena a parlare di un possibile rilancio della città. Ne ripropongo una parte: «C’è un luogo fisico, per eccellenza, una città nella città che esprime tutto il potenziale inespresso di Siena protagonista nel mondo. Nonché il rischio forte, che per vizi antichi e mancanza di risorse, tutto si riduca in uno sterile chiacchierificio su ciò che potrebbe essere e ancora non è. E’ il Santa Maria della Scala. Nonostante le decine di milioni di provenienza montepaschina spese negli anni, l’Antico Spedale è oggi recuperato per la metà dei suoi spazi. E’ il maggiore complesso culturale della città, potrebbe essere laboratorio e volano per attività economiche basate sui giovani e sull’artigianato. Eppure rimane ancora sospeso in attesa della sua destinazione finale, immerso tristemente in una marginalità evidente, rispetto ai flussi turistici. Anziché rappresentare  l’aspirazione della città a realizzare un modello di sviluppo che sappia estrarre valore e lavoro dalla cultura, il Santa Maria è alle prese con chiusure di spazi perché non ci sono neppure risorse per adeguarne le strutture alle normative di sicurezza. Lo stato della sua conservazione appare a rischio. E nel 2018 – dicevo ancora a quella conviviale del Rotary – compirà 50 anni il dibattito di tante parole e non sufficiente concretezza sul Santa Maria. E’ infatti il 23 settembre 1968 quando Cesare Brandi scrive sul Corriere della Sera: L’ambiente del Pellegrinaio è unico al mondo, perché neppure il celebre Ospedale di Bearne possiede affreschi del genere. E appunto perché unico al mondo dobbiamo vederlo in funzione, con i suoi letti e i suoi ammalati, con in più la squisita delicatezza della doppia vetrata che lo divide in due, con i suoi vetrini stampati a fondo di bottiglia? Insomma questa indecenza deve finire. Il Pellegrinaio si deve vedere, come un museo, perché un museo è, la Sagrestia si deve vedere come un museo, perché museo è. […] Neanche un giorno di più devono restare i malati nel Pellegrinaio. Lo scandalo è nazionale».

Anche oggi sul Santa Maria della Scala è scandalo, ma più grave, che chiama in causa le responsabilità politiche di decenni in cui a Siena hanno imperato – nascoste dalle parole della fuffa e dal clientelismo – inerzia, incapacità progettuale, mancanza di realismo. E mancanza di risorse, quelle del Monte dei Paschi, che oggi non ci sono più e che invece prima – quando c’erano – avrebbero già potuto dare, almeno con un paio di decenni di anticipo, quel nuovo volto al Santa Maria della Scala auspicato da Brandi nel 1968. E che oggi appare, invece, sempre più evanescente, completamente offuscato dalle nebbie senesi.

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