Allegri_Sarri_Spalletti copyUno spiccato accento livornese per il primo. Un valdarnese schietto per il secondo; un empolese-valdelsano per il terzo. Insomma, seppur con sfumature diverse, e accenti più o meno aperti, parla smaccatamente toscano la testa della classifica del calcio italiano. Percorrendo la Fi-Pi-Li sono 127 i chilometri di distanza da Livorno a Figline Valdarno, e con una leggera deviazione a metà strada, uscendo ad Empoli, facciamo tappa anche a Certaldo. Il primo è Massimiliano Allegri nato a Livorno nel 1967, professione allenatore della Juventus. Il secondo è Maurizio Sarri, nato nel 1959 a Napoli da genitori toscani, ma trasferito fin da bambino a Figline Valdarno, e dal giugno scorso allenatore del Napoli. Sempre nel 1959 è nato a Certaldo, Luciano Spalletti, allenatore della Roma, attualmente terzo in classifica.

Non solo calcio: la storia di tre allenatori Tre storie diverse le loro, percorsi ad ostacoli e tanta gavetta, ma con alcuni punti in comune. Il padre di Sarri lavorava all’Italsider di Bagnoli, mentre quello di Allegri era scaricatore al porto di Livorno. Mentre Allegri e Spalletti si sono sempre dedicati al calcio, Sarri è stato impiegato e dirigente alla banca Monte dei Paschi, in filiali toscane e all’estero. Quando nel 1993 Spalletti finiva la carriera di calciatore – sempre nelle serie minori-, nell’Empoli in C1 di Guidolin; il livornese Max era il cervello del centrocampo del Pescara in serie A, del maestro Galeone.

Maurizio Sarri, dal Monte dei Paschi al Napoli che sogna lo scudetto In quegli anni Sarri timbrava il cartellino al Monte e dopo le 17, si rimetteva la sua amata tuta per andare ad allenare i ragazzi dello Stia, della Faellese e del Cavriglia, roba intorno alla seconda categoria. Solo nel 1999 al Tegoleto, Sarri decide di rimettere la calcolatrice nel cassetto e darsi al mestiere di allenatore a tempo pieno. L’anno dopo, nel 2000, si sposta a Monte San Savino, paese dell’aretino famoso per l’ottima porchetta. In quegli anni grazia a mister Sarri – soprannominato ‘mister 33’ da un giornalista locale, per la quantità di schemi che riesce a mettere in atto –; la Sansovino passa dall’Eccellenza vinta nel 2001, alla serie D che con il secondo posto del 2003, lascia per la serie C2. In quell’anno si aggiudica anche la Coppa Italia di serie D. E poi con la stessa filosofia e cultura del lavoro, in tuta e sigaretta, Sarri risale le categorie, passando dalla Sangiovannese, a Pescara (serie B nel 2005/06), fino a Empoli nel 2012 che prende in serie B e porta in serie A, lasciandolo nel 2015, dopo tre campionati, al 15esimo posto, ma facendosi notare per un gioco spettacolare. A notarlo è anche Aurelio De Laurentis che nell’estate scorsa lo porta a Napoli, affidandogli i ‘resti’ di Rafa Benitez. Sarri sempre a suon di schemi da imparare a memoria, risolleva gli azzurri, rivitalizzando Higuain e compagni e portando il Napoli in vetta alla classifica, in grado di lottare per uno scudetto che manca dal Vesuvio, dal 1990; ma erano i tempi di Maradona. Il credo tattico è sempre lo stesso, la tuta e le sigarette sono il segno distintivo di sempre, ma a differenza della ‘corazzata’ Sansovino, questa volta ha a che fare con gli Higuain e gli Insigne, gli Hamsik e i Pepe Reina.

spalletti_Luciano Spalletti, da Certaldo alla Roma La carriera in panchina di Spalletti è iniziata nel 1993/94 da Empoli, dove fino all’anno prima il certaldese scendeva in campo. Dopo due anni di assestamento, Spalletti fa compiere un doppio salto agli azzurri toscani che porta in serie A, con un gioco molto organizzato e tanto fosforo in campo. Dopo alcuni anni di girovagare fra Sampdoria, Venezia, Udinese e Ancona, Spalletti prosegue il suo capolavoro ancora a Udine e porta i bianconeri friulani nel 2005 alla storica qualificazione ai preliminari di Champions League. Un risultato che lo catapulterà alla Roma alla corte dei Sensi: con i giallorossi quattro stagioni (se ne va all’inizio della quinta) con due coppe Italia ed una Supercoppa italiana in bacheca. Qualche mese dopo viene rapito dal fascino dei tanti rubli dello Zenit San Pietroburgo dove resta per quattro anni conquistando due campionati russi e altri trofei nazionali. In questi anni mette in cascina esperienza internazionale. E dopo il girone d’andata del campionato in corso, la Roma esonera Garcia e affida la panchina al tecnico toscano. Alcuni buoni innesti dal mercato invernale (El Shaarawi e Perotti) e tanto lavoro nella testa della squadra, che era partita per vincere lo scudetto e che invece si ritrova fuori dalla zona Champions. Ci pensa Luciano, che con una striscia aperta di sette vittorie, ultima in ordine di tempo, quella netta e roboante di venerdì scorso contro la Fiorentina, in un autentico spareggio per il terzo posto.

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Da Livorno alla Juve: Massimiliano Allegri A guidare il treno dei toscanissimi c’è però il livornese Massimiliano Allegri. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo dopo 374 e 56 gol fra i professionisti – non male per un centrocampista -, il figlio del quartiere Coteto ha iniziato ad allenare ad Agliana in C2, e poi Spal, Grosseto e Sassuolo in C1. Nel 2008 si fa notare per due stagione a Cagliari in A, e subito se lo assicura il Milan, dove al primo campionato 2010/11 conquista lo scudetto che mancava da sette anni. E’ più merito della classe di Ibrahimovic e Thiago Silva diranno i suoi detrattori, che merito di Allegri. L’anno successivo si fa beffare dalla prima Juve di Conte e dopo un terzo posto nel 2013, ad inizio 2014 crolla a Sassuolo e, anche per i disaccordi tattici con il patron Berlusconi, Allegri viene esonerato. Ma nell’estate dello stesso anno, lo chiama la Juventus dopo l’addio improvviso e tumultuoso di Antonio Conte; in poche ore Max dice sì alla Vecchia Signora. Inizia in punta di piedi, dovendo anche scontare il recente passato in rossonero, ma con umiltà e una lucida determinazione guida i bianconeri ad una stagione trionfale, con lo scudetto e la Coppa Italia – accoppiata che mancava dal 1995 in corso Galileo Ferraris – e con la finale di Champions League, sfumata negli ultimi minuti con il Barcellona di Messi e compagni. Il secondo anno di Allegri a Torino è una storia ancora di scrivere: dopo la Supercoppa vinta ed un inizio in campionato tragicomico per i bianconeri (con 12 punti in 10 partite), Allegri non ha perso la barra del timone della nave bianconera e con una striscia di 15 vittorie consecutive ha riportato la Juve in testa ed in finale di Coppa Italia. E proprio nella giornata di ieri l’allenatore livornese ha ricevuto la Panchina d’Oro 2014/15 come miglior tecnico italiano dell’ultimo anno.

Campionato al rush finale I tre tecnici toscani si presentano allo sprint finale – mancano dieci partite al termine del campionato – con tutte le carte in regola per raggiungere gli obiettivi più importanti. Otto punti li dividono: al momento Allegri è avanti a Sarri di tre lunghezze, probabilmente si contenderanno lo scudetto fino alla fine. A cinque punti dal tecnico del Napoli arriva di rincorsa Spalletti con la sua Roma; molto deciderà lo scontro diretto all’Olimpico alla quart’ultima giornata. Di sicuro, i tre lasceranno il segno in questo campionato emozionante, e potranno portare un bel po’ di toscanità nella prossima Coppa dei Campioni.

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Lorenzo Benocci - Giornalista professionista - Direttore responsabile Agricultura.it - Coordinatore editoriale Dimensione Agricoltura - Collaboratore agenziaimpress.it - La Nazione - Collaboratore testate specializzate agricoltura - Premio Addetto Stampa dell'Anno 2009 per l'Agricoltura - Autore libro: Il Barbarossa - Cronache e protagonisti di una festa