SIENA – Finirà con tutta probabilità davanti ai giudici il ritiro delle deleghe a Guido Bastianini, l’ex ad e direttore generale di banca Mps silurato lo scorso 7 febbraio.

A Bastianini le deleghe sono state ritirate nell’ultima seduta in cui è stato sostituito, nelle sue funzioni, da Luigi Lovaglio. La banca, nell’annunciare il cambio al vertice, non aveva dato conto delle ragioni che avevano minato il rapporto fiduciario con il cda, Come non sono mai stati ufficializzati dal Tesoro i motivi alla base della richiesta di dimissioni formulata, una decina di giorni prima, dal direttore generale, Alessandro Rivera.

Al banchiere sarebbe stata imputata, tuttavia, “la gestione dei rapporti con la stampa” senza “che siano state utilizzate le strutture preposte interne alla banca anche in relazione ai rapporti istituzionali”, nonché “la posizione talvolta ambigua tra la definizione di un piano industriale stand alone ed un piano al servizio di un’operazione strutturale auspicato”, posizione che ha costretto il consiglio ad occupare “numerose sedute” al fine di “al fine di dover costantemente chiarire le finalità del piano industriale”.

A ciò si aggiunge un “atteggiamento non pro attivo nell’identificazione del percorso strutturale”. Bastianini pagherebbe poi per “la complessa gestione delle figure manageriali” in particolare nelle circostanze che hanno riguardato alcuni manager – tra cui il general counsel Riccardo Quagliana – che “avrebbe richiesto un diverso livello di trasparenza nell’esecuzione delle delibere”, come pure “l’assenza di una chiara presa di posizione giunta talvolta sino all’astensione” su proposte arrivate al consiglio dalle strutture della banca “senza espressione di orientamento in vicende di particolare delicatezza”, costringendo il cda “ad agire in assenza di una precisa linea gestionale”. A ciò si aggiungono “i disallineamenti nell’esecuzione di alcune delibere consiliari” a lui delegate e “il fraintendimento creato rispetto all’audizione parlamentare la cui segretazione non è stata preventivamente autorizzata” dal cda che dunque “non ha potuto licenziare il testo consegnato alla commissione né tantomeno conoscere il testo dell’adunanza”.

Per assicurare il “successo” del piano industriale “sono stati a più riprese richiesti cambiamenti manageriali mai avviati” e per concludere è stata lamentata ” la difficoltà di ottenere la proposta in merito ai piani di successione”, arrivata dopo diverse sollecitazioni lo scorso 31 gennaio. A stabilire se queste motivazioni giustifichino la revoca o si tratti, come crede chi è vicino a Bastianini, di una sfiducia pretestuosa per assecondare i desiderata del Mef, saranno i giudici ai quali Bastianini è intenzionato a rivolgersi per difendere la sua immagine e reputazione, lesa in caso di revoca senza giusta causa.

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