Foto Cai Torino

SIENA – “Io sto pensando molto in questi giorni a Rigoni Stern, mi manca tantissimo perché vorrei sentire una sua parola su cosa pensa sulla Russia adesso”.

Paolo Cognetti, scrittore e vincitore del Premio Strega nel 2017 con Le otto montagne, suo ottavo libro, parte dall’attualità incontrando gli studenti dell’istituto Sallustio Bandini di Siena, alle prese con il progetto di formazione ‘Montagna che passione’: un viaggio, coordinato dalla docente Angela Ceccarelli, tra letteratura, esercitazioni pratiche e formazione alla scoperta e alla riscoperta dei valori della montagna.

Proprio quelli trasmessi a Cognetti da Mario Rigoni Stern e Mauro Corona, due scrittori che la montagna l’hanno vissuta e raccontata a modo loro, portandola all’attenzione del grande pubblico. “Per me la montagna sarà sempre un altrove. Non sono una persona che ci è nata e questo fa una grande differenza” spiega Cognetti ai ragazzi. “Se Rigoni Stern ha scritto di una montagna bella che nobilita, Corona ne ha esplorato più il lato oscuro dell’isolamento, della rabbia, dell’alcolismo, della violenza: e queste due visioni sono tutte e due vere. Io le vivo da 14 anni”. Nella sua prima vita Cognetti è stato alpinista e matematico, e a volte pensa di non avere mai smesso di essere nessuno dei due. Nella seconda, lavora nel cinema indipendente milanese come autore di documentari, sceneggiatore e montatore di cortometraggi, cuoco. Ma la scrittura non lo ha mai abbandonato fin da quando, da ragazzo, scriveva lunghe lettere alle ragazze di cui era innamorato o più semplicemente, ai suoi amici. “La scrittura mi ha sempre accompagnato, sono una persona che scrive quasi tutti i giorni e tutto quello che scrivo è diventato un modo in cui ripensi alla tua vita, alle persone a cui vuoi bene”.

Ma più che Rigoni Stern e Corona, per Cognetti, il riferimento è Jack London e la sua The call of the wild. “Viviamo in un mondo antropizzato da sempre, girare per le montagne per me significa vedere la presenza umana. Per noi andare in montagna è continuare a vedere il rapporto tra uomo e paesaggio, come è stato modificato. Sono andato in montagna un po’ con l’utopia dell’Alaska, della frontiera; poi nel corso degli anni è diventata più realistica, questa utopia ha fatto i conti con i problemi della montagna, con chi ci abita, con il fatto che è molto sfruttata. Ma dentro di me quella montagna dell’infanzia, è una fiammella che tengo accesa anche quando mi tratta male. C’è un bambino dentro di noi che va protetto e non va ucciso e che mi fa vedere il mondo ancora così” racconta Cognetti prima di richiamare ancora una volta Rigoni Stern.

“Rigoni Stern torna a casa a 24 anni ma con l’animo di un vecchio e raccontava che tornato a casa non sapeva più vivere, non sapeva più stare con gli altri, non dormiva e piano piano ha iniziato ad andare nel bosco a fare legna e a caccia e raccontava di un bosco che cura l’uomo. Oggi questo è diventato vero. E io so che è vero. Perché l’ho provato sulla mia pelle e la montagna mi ha sempre curato e mi ha rimesso in sesto. La montagna per me sarà sempre questo e continuerà ad esserlo”.

Il suo rapporto con la montagna e con la terra è primordiale e “se viene spezzato ci succede qualcosa di grave. Siamo esseri della terra, siamo fatti della terra. Una cosa che succede in alta montagna e che accade è l’armonia che si crea con gli elementi che ti circondano e inizi a farne parte. In Tibet trovi solo gli elementi e senti che anche tu sei fatto dello stesso materiale e che vibri con gli elementi della terra. Questo rapporto viene sospeso se siamo in una città, in un appartamento, al pc o al telefono, qualcosa si rompe dentro l’uomo. Diventa una mutazione. Negli ultimi anni si è iniziato a vedere la natura che aiuta l’uomo”.

Poi cita Thoreau “Andai nei boschi per vivere con saggezza, vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto” chiarendo ai ragazzi che “non bisogna per forza andare lontano per cercare ciò che si sta cercando se l’esperienza che vogliamo è la nostra e veramente la possiamo trovare anche dietro casa”. E ancora “E’ bello sperimentare su di sé la vita diversa da quella che si è abituati a fare. Sono prove a cui uno si sottopone per vedere di che pasta è fatto. A volte si può andare nei boschi per leccarsi le ferite, per scoprire cosa c’è nella solitudine che è un luogo difficile da abitare. Sono tante le scoperte della natura e della solitudine”.

 

 

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