A Palazzo Sansedoni, storica sede della Fondazione Mps scatta la tregua tra il presidente Gabriello Mancini e i membri della Deputazione Generale. Poco prima delle 14 è terminata, infatti, la riunione della Deputazione con un aggiornamento al prossimo 2 agosto alla vigilia della scadenza del mandato. Ma secondo quanto apprende l’Ansa nel corso della riunione di stamani, iniziata alle 10, il presidente Gabriello Mancini ha presentato una relazione su tutte le azioni compiute in base alle linee programmatiche degli enti nominanti. Dopo di lui ha preso la parola il direttore generale, Claudio Pieri, che ha riassunto quanto deciso dagli organi amministrativi sulla base di tutte le indicazioni ricevute. In un clima definito «sereno» gli 11 consiglieri 'ribelli', quindi, non avrebbero presentato il documento critico da loro predisposto nei confronti di Mancini e degli organi amministrativi facendo quindi passare la linea più morbida del presidente così come avevamo anticipato questa mattina (leggi).

La rivolta fuori tempo massimo Ma come sottolinea l’Asca quella di oggi potrebbe essere stata una rivolta fuori tempo massimo, forse anche mal riposta alla luce di una unanimità dal sapore bulgaro che ha prevalso per anni. Si chiude la stalla quando i buoi sono scappati da un bel pezzo. All'orizzonte per gli 11 aspiranti «sans culottes» non c'e' alcuna gloriosa Valmy (20 settembre 1792). Solo il vuoto pneumatico di un patrimonio sceso, in appena 6 anni, da un valore di mercato di 12 miliardi a 670 milioni euro, ora tutto composto da azioni Mps (33,5% del capitale), peraltro interamente in pegno alle banche creditrici di Palazzo Sansedoni. La debacle arriva da lontano, non solo dalle Deputazioni Amministratrici che hanno retto la Fondazione dal 2009, ma anche da quelle precedenti. A partire dall'aver privilegiato gli investimenti «relazionali» rispetto a quelli «economico-finanziari». Un esempio su tutti, l'inutile partecipazione dell'1,93% in Mediobanca costata oltre 200 milioni di perdite. Poi i numerosi investimenti, illiquidi, nel private equity, per finire a quelle dismissioni del Monte dei Paschi, da Fontafredda a Valorizzazioni Immobiliari che, per mancanza di compratori, sono finiti in pancia a Palazzo Sansedoni. In ultimo, «l'inizio della fine», la decisione, del 2008, di non diluirsi nell'aumento di capitale della banca al servizio dell'acquisizione dell'Antonveneta. Una scelta che ha comportato la concentrazione di quasi la totalità del patrimonio della Fondazione sulle azioni Mps.

L'azione di responsabilità La scorsa settimana Mancini ha annunciato da parte della Fondazione una azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici di Mps, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, spiegando che, a suo avviso, la Fondazione è stata ingannata. Il colpo di grazia per l'ente senese è venuto dall'adesione, in gran parte a debito, all'aumento di capitale della banca del 2011. Palazzo Sansedoni ha creduto al piano industriale della banca 2011-2015, modestamente chiamato «Ambizione 2015». Tra le ipotesi, a sostegno di una redditività che avrebbe dovuto assicurare un fiume di dividendi (2 miliardi) per di garantire il rimborso dei debiti della Fondazione, c'erano previsioni economiche da libro dei sogni. Per il duo Mussari-Vigni, il Pil italiano sarebbe dovuto crescere, nel periodo del business plan, intorno all'1,5% all'anno, un ritmo piuttosto sostenuto. Il piano industriale di Intesa SanPaolo si fermava a un più modesto 0,7-0,8%. Non serviva un «brainstorming (tempesta di cervelli)'' per capire che si trattava di numeri per un' Italia di altri tempi, forse quella del boom. Le famiglie italiane scoprivano il frigorifero e Jean-Luis Trintignant e Vittorio Gasman spopolavano, in bianco nero, con «Il sorpasso». Sergio Endrigo cantava «Se le cose stanno così».
 

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