aldovrandiNon c’è sofferenza più atroce per un genitore che sopravvivere alla morte di un figlio. Il dolore non si affievolisce con il passare del tempo, ti accompagna fino all’ultimo respiro. Non ci sono modi e tempi giusti o sbagliati per morire. Ma ci sono modi e modi e, quando a portarti via quel figlio non è una malattia o un incidente, quel dolore pesa come una condanna a morte con la quale imparare a convivere per il resto della vita. Lo sa bene Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, assassinato il 25 settembre 2005 ad appena 18 anni. Gli aguzzini di Federico sono 4 poliziotti, assassini in divisa, condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi (3 anni coperti dall’indulto). Uomini e donne che rappresentano lo Stato e che hanno il dovere di garantire la sicurezza di noi cittadini. Federico non è morto una sola volta. E’ stato ucciso tutte le volte che la sua famiglia ha dovuto lottare per ottenere giustizia, tutte le volte che la sua memoria è stata offesa, oltraggiata. L’ultimo sfregio l’altro giorno a Rimini durante il congresso nazionale del Sap, il secondo sindacato italiano di polizia. Agli assassini di Federico sono stati tributati cinque interminabili minuti di applausi. Applausi che fanno male come i calci e le manganellate che lo hanno ucciso. Applausi che dovrebbero farci vergognare di essere italiani. In certi casi non è ammissibile o giustificabile la solidarietà tra colleghi. Quegli applausi sono agghiaccianti, macchiano ancora una volta l’onorabilità delle forze dell’ordine. Chi abusa della divisa e del proprio potere deve essere allontanato, chi viene condannato per azioni commesse in servizio deve essere messo ai margini. Se la legge è uguale per tutti lo deve essere anche per i responsabili dell’omicidio Aldrovandi. Come è possibile che dei poliziotti sulle cui teste pesa una sentenza passata in giudicato hanno il diritto di indossare ancora la divisa? C’è forse un quarto grado di giudizio non scritto che copre e difende chi appartiene alle forze di polizia? Non è solo una questione di ‘mele marce’ ma è dovere di uno Stato civile dare un segnale a quanti credono ancora nell’operato di uomini e donne che ogni giorno mettono a rischio la loro stessa vita per difenderci. La politica non può chiudere gli occhi, deve dare risposte concrete.  Abbiamo bisogno di pene esemplari. Quei pochi violenti non possono delegittimare il lavoro di quanti ogni giorno in silenzio lavorano al fianco dei cittadini. Io sto con i poliziotti e i carabinieri che svolgono il loro compito con sacrificio e impegno ma sto soprattutto con la mamma di Federico. Non vorrei mai essere fermata per un controllo da uno dei 4 assassini di Federico. Due di loro sono già tornati in servizio, gli altri due saranno reintegrati nei prossimi mesi. Perché quando si entra in Polizia non si ‘decade’. Il codice non lo prevede per condanne per reati colposi. La radiazione è prevista però per disonore alla divisa. E macchiarsi di un omicidio non ha nulla di onorevole.

 

 

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