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SIENA – Il cerchio si chiuderà il 26 marzo, quando saranno presentate le liste per il rinnovo del cda di Mps. Il 20 aprile poi sarà l’assemblea (a porte chiuse) a decretare i nominativi, a partire dal presidente.

Come è noto non sarà più Patrizia Grieco, che ha deciso di non proseguire il percorso avviato a maggio 2020. Sul crinale cammina anche Luigi Lovaglio. In un poco più di un anno il banchiere di Potenza è riuscito a mettere Rocca Salimbeni in carreggiata. Agli occhi dell’Europa soprattutto, che recentemente ha deciso di allargare le maglie sui controlli. E anche degli investitori, che hanno creduto nell’intraprendenza dell’amministratore delegato, partecipando alla ricapitalizzazione di Montepaschi. Il suo destino è nelle mani del Tesoro, che ancora non si è espresso sulla riconferma. Senza dimenticare che per decisione dello stesso governo i manager delle banche pubbliche salvate non possono percepire più di 240 mila euro nel 2023. Lo stesso Lovaglio nel 2020, alla guida di Creval, ne aveva percepiti circa 3 milioni.

Per quanto riguarda i posti in cda, che potrebbero scendere a 11 (rispetto ai 15 attuali), ci potrebbe essere spazio per la Fondazioni bancarie, mentre Axa, vedendo la quasi totalità delle quote, ha fatto sapere di non essere interessata.

Sullo sfondo del nuovo corso di Mps, che rimarrà in carica fino al 2025, c’è il futuro societario. I risultati dell’istituto di credito non ha distolto il Mef dalla missione principale, liberarsi delle quote azionarie di Montepaschi: come richiesto da Bruxelles. Il perimetro di azione non è così ampio, perché chi per un motivo o per un altro, l’interesse nell’operazione è prossimo allo zero. Almeno in superficie. L’attenzione rimane per Banco Bpm, quello che per dimensioni più si sposa con Montepaschi. Sia l’ad Giuseppe Castagna che il presidente Massimo Tononi (ex Mps) finora hanno risposto picche. Una soluzione non è dietro l’angolo, ma difficile che si vada oltre il 2023.

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