manetteChe giornata, ragazzi. La ricorderemo come il giorno della manetta. Appena sveglio la prima notizia piombata in casa è stata l’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola. Le battute sul suo conto si sono subito sprecate, da “arrestato a sua insaputa” a “questa volta la casa gliela paghiamo noi”. Poi è giunta la notizia dell’arresto di Ferdinando Minucci, fino a pochi mesi fa presidente della Mens Sana Basket, plurivittoriosa per un decennio sui parquet di tutta Italia. Infine, nel pomeriggio anche la notizia dell’arresto, tra gli altri, di un tal Primo Greganti per una “cupola di affari e politica” che coinvolge destra e sinistra intorno alla gestione degli appalti per l’Expo di Milano. Tre storie tra loro diversissime che per qualche strana ragione oggi si sono incrociate nelle date dei mandati di cattura. Sembrava di essere tornati indietro di venti anni.

Di Scajola sappiamo tutto (o quasi) è stato più volte ministro, uomo di Silvio Berlusconi, di cui ne sta mestamente seguendo il declino, era un democristiano all’epoca della Prima Repubblica. Il suo arresto, per avere favorito la latitanza di un parlamentare calabrese Pdl, fa il pari con la “latitanza” di Marcello Dell’Utri in Libano e sono il segnale della fine. Solo qualcuno fa finta di non vederla. Che tristezza.

Primo Greganti, invece, era stato bravissimo a far perdere di sé le tracce in tutti questi anni di Seconda Repubblica. Ai tempi di Tangentopoli si fece qualche mese di galera ma non tradì i compagni del suo partito (all’epoca Pds), passando alla storia come il “Compagno G”, colui che aveva impedito alla Procura di Milano di procedere nelle indagini contro il sistema comunista e post comunista. Fu la diga che impedì alle acque di tracimare, come invece accadde per tutti gli altri partiti, democristiani e socialisti in primis. Adesso scopriamo che in questi anni aveva continuato a lavorare all’ombra della politica e nelle ombre della Legge. E oggi è comprimario di una brutta storia di corruzione che pare coinvolgere destra e sinistra e offusca l’immagine dell’Italia che con l’Expo dovrà presentarsi al mondo. Se lo avessero fermato subito non era meglio? Che tristezza.

Ma non c’è dubbio che l’arresto che dalle nostre parti ha fatto più clamore è quello dell’uomo forte di viale Sclavo per oltre un decennio, Ferdinando Minucci. Un asso pigliatutto nel basket, come nella sua città dove era riuscito ad imporre il progetto di una società sportiva che avrebbe vinto in Italia dando lustro e prestigio a Siena, a costo di grandi investimenti della banca Mps. Soldi che da Rocca Salimbeni erano quindi confluiti in gran quantità già prima della presidenza Mussari ma che poi erano dilagati, senza controllo. Grazie ai suoi successi era anche riuscito a fare il grande salto nel basket nazionale. A luglio avrebbe dovuto diventare presidente della Lega nazionale, nonostante i tifosi di tutta Italia già da molte domeniche ne avessero contestato il ruolo. Stamani il suo sfilare con un giubbotto di camoscio rigirato tra le mani per nascondere le manette (che comunque non dovrebbero essere mai uno spettacolo da esibire) è stato il segno che la sua storia è finita, il tempo scaduto, e non ci saranno tempi supplementari. Un triste time-out.

Il sistema Siena così come quello berlusconiano e quello delle cupole imprenditoriali e politiche che trattano nelle more degli appalti pubblici sembrano finiti ai ferri nello stesso giorno. Per qualcuno è una giornata da ricordare, come una rivincita. A me oggi è salita solo tanta tristezza per vent’anni buttati al vento e per un futuro che sembra definitivamente compromesso.

Ah, s’io fosse fuoco

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