FIRENZE – Un conseguenza positiva, se così si può catalogare, la pandemia l’ha avuta. Ha costretto la scuola ad adeguarsi, implementando le nuove tecnologie all’insegnamento tradizionale.

I risvolti, soprattutto a livello numerico, sono nella prima parte dell’indagine pubblicata da Indire, “Impatto della pandemia sulle pratiche didattiche e organizzative delle scuole italiane nell’anno scolastico 2020/21”.

Basata su un campione di oltre 2.500 insegnanti, dalla scuola primaria a quella secondaria di secondo grado. Tutti, più o meno, hanno sperimentato la didattica integrata digitale, declinata in spazi, tecnologie, contenuti e organizzazione differenti. A prevalere è stata quella in presenza, nel 72,1% dei casi, seguita da quella a distanza (68,6%), da quella ibrida (48,2%), e infine quella alternata (45,2%).

Quando le lezioni non si sono svolte in classe, le metodologie innovative adottate hanno spaziato da project-based learning alla flipped classroom, dal debate all’apprendimento cooperativo. Nonostante l’approccio a una scuola futuristica, tra i supporti è ancora il libro tradizionale a prevalere. Nella scuola primaria il 53,9% dei docenti ha affermato di averlo utilizzato “sempre”, mentre il 39,7% “spesso”. Nella secondaria di primo grado, le percentuali sono rispettivamente del 49,3% e del 38,5%, mentre nella secondaria di secondo grado sono del 46,8% e del 38,4%.

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