BRUXELLES – La Commissione Europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE in quanto non ha pienamente rispettato gli obblighi di raccolta e trattamento stabiliti dalla direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 1991/271/CEE).

La direttiva mira a proteggere la salute e l’ambiente prescrivendo che le acque reflue urbane siano raccolte e trattate prima di essere scaricate nell’ambiente. Le acque reflue non trattate possono comportare rischi per la salute umana e inquinare i laghi, i fiumi, il terreno e le acque costiere e sotterranee.

Le informazioni presentate dall’Italia hanno evidenziato una diffusa inosservanza della direttiva in un totale di 179 agglomerati italiani in undici regioni, tra cui figura anche la Toscana. Nel caso di 36 agglomerati l’Italia deve ancora garantire che siano disponibili sistemi di raccolta delle acque reflue (o sistemi individuali o altri sistemi adeguati, in casi giustificati).

L’Italia continua a non trattare correttamente le acque reflue raccolte in 130 agglomerati. Per gli agglomerati che scaricano acque reflue in aree sensibili è necessario un trattamento delle acque reflue più rigoroso. In 12 agglomerati italiani questo obbligo non è ancora rispettato. Infine, per 165 agglomerati l’Italia non garantisce che gli scarichi idrici soddisfino nel tempo le condizioni di qualità richieste.

La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia nel giugno 2018 e successivamente un parere motivato nel luglio 2019. Nonostante alcuni progressi, molti agglomerati continuano a non rispettare gli obblighi della direttiva. La Commissione ritiene che gli sforzi profusi finora dalle autorità italiane siano stati insufficienti e ha pertanto deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE.

Ai sensi della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, gli Stati membri devono disporre di una rete fognaria per tutti gli agglomerati con almeno 2.000 abitanti. Se l’istituzione di una rete fognaria non è giustificata, in particolare perché comporterebbe costi eccessivi, è possibile utilizzare sistemi individuali o altri sistemi appropriati, a condizione che garantiscano lo stesso livello di protezione ambientale. Gli Stati membri devono inoltre garantire che gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane negli agglomerati con almeno 2.000 abitanti siano quantomeno conformi al livello di trattamento secondario (consistente nel trattamento del materiale organico nelle acque reflue urbane) prima di essere rilasciati nell’ambiente.

La procedura di infrazione rappresenta il quarto caso di infrazione aperto in relazione all’applicazione non corretta della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane in Italia (e si va a aggiungere alle procedure di infrazione INFR2004 (2034), INFR2009 (2034) e INFR2014 (2059). Non vi è sovrapposizione tra questi quattro casi, in quanto ciascuno di essi riguarda diverse violazioni degli obblighi stabiliti dalla direttiva. Complessivamente le quattro procedure riguardano più di 900 agglomerati.

 

Articolo precedenteIl sogno di Gramsci. Gad Lerner e Silvia Truzzi portano a teatro i temi liceali di un giovane ribelle
Articolo successivoSostanze inquinanti nei 37 esemplari spiaggiati sulle coste toscane: l’indagine di Arpat e Università di Siena