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TORRE DEL LAGO – Ha un nome – Maria Novella – che evoca capolavori di architettura: la chiesa che, a Firenze, fa da scrigno a Giotto e Masaccio. E anche la stazione che le sta di fronte, esempio straordinario di razionalismo.

I genitori di Maria Novella Malfatti dovevano aver intuito che quella figlia, ancora non nata, sarebbe vissuta d’arte e per l’arte. Per questo le hanno dato un nome così importante. Ed evocativo.

Non si erano sbagliati: quasi prima di imparare a tenere in mano il lapis e scrivere le “a” rotonde, in corsivo, nel quaderno a quadretti di prima elementare, Maria Novella ha imparato a maneggiare l’archetto del violino. Non poteva essere diversamente visto che da bambina uno dei suoi film preferiti era “Canone inverso” di Ricky Tognazzi, un dramma di esistenze che ruotano attorno a un violino. L’altro suo film preferito non poteva essere un Disney qualunque. Infatti non lo era. Mentre tutti inseguivano Re Leone 1 e 2, lei, Maria Novella, obbligava la famiglia a guardare e riguardare “Il flauto magico” di Ingmar Bergman. Dall’opera di Mozart, si intende.

Poi non ci si può meravigliare se, da ragazzina, Maria Novella si iscrive al conservatorio, studia violino e i docenti la spingono anche verso il canto lirico. Se si diploma in canto ad Amsterdam e, in pochi anni, diventa uno dei soprani più richiesti della sua generazione. Del resto, mentre le sue coetanee coi calzettoni andavano al parco, Maria Novella da piccola si faceva portare dalla mamma da Pietrasanta a Torre del Lago, a vedere la statua di Puccini. Giusto per prendere familiarità.

Meno di venti anni dopo, Maria Novella, infatti, il 7 agosto era sul palco del Festival Puccini, a interpretare Mimì, gaia fioraia de La Bohème. Davanti a un pubblico nazionale e internazionale che le urlava dalla platea: “Eh, sei brava, vai”.

Oggi Maria Novella Malfatti, famiglia viareggina, emigrata Pietrasanta, è un soprano apprezzato e ricercato da molti teatri. Da piccola sognava di diventare una cantante d’opera?

“In realtà no. Il mio sogno sarebbe stato diventare violinista”.

Desiderio insolito: da dove nasceva questa passione?

“Perché, già da piccola, mi sono innamorata di un film di Ricky Tognazzi – “Canone inverso” – ispirato al libro omonimo di Paolo Maurensig. Il film, del 2000, aveva la colonna sonora di Ennio Morricone e me ne sono innamorata. La storia, complessa, ruota tutta attorno a un violino misterioso e a musicisti talentuosi con vite davvero incredibili”.

Ma quanti anni aveva quando ha visto questo film drammatico?

“Avevo sei anni, non ne avevo ancora compiuti sette. Ma già amavo la musica. La mia passione era partita con l’opera, con Puccini”.

Scusi, ma lei a 6 anni ascoltava già l’opera?

“Sì. Può sembrare strano, ma già quando ero piccola piccola, i miei genitori mi facevano vedere spesso un film che mi piaceva moltissimo. Ero io stessa a volerlo vedere: “Il flauto magico” di Ingmar Bergman. É un film proprio ispirato all’opera di Mozart (la riproduce, con interessanti inserti cinematografici, ndr.) e io ero impazzita per quella pellicola, perché è un film che una bambina, un bambino lo capisce senza problemi e, in più, oltre a seguire la favola, si fa trascinare dalla musica.

Da lì, quindi, nasce la mia passione per l’opera: obbligavo tutti in casa a vedere e rivedere questo film. Allora un giorno, la mia mamma mi ha portato a Torre del Lago, sul Belvedere, davanti al lago, a vedere la statua di Puccini perché, quando non guardavo Il flauto magico, ascoltato “O mio bambino caro” (aria da Gianni Schicchi) cantata dalla Tebaldi”.

Insomma, lei a sei anni sognava di diventare violinista, dividendosi fra l’ascolto di Mozart e Puccini. I suoi genitori assecondarono la sua passione, a parte imparare a memoria “Canone inverso” e “Il flauto magico” di Bergman?

“Sì. Si informarono ed esclusero, però, di farmi prendere lezioni di canto a 6/7 anni perché ero troppo piccola e avrei potuto rovinarmi la voce. Quindi mi proposero di iniziare a studiare uno strumento, ma senza impormi nulla, anche perché loro non sono musicisti.

Decidemmo per il violino (dopo il film Canone inverso non avrebbe potuto essere altrimenti) e il suono del violino mi incantò da subito: così è diventato un grande amore”.

Quando inizia a studiare violino?

“Subito, appena scoperta la passione per la musica: ho preso le prime lezioni a sei anni. Ho anche lavorato in orchestra fino a 23/24 anni. Quindi, dopo i primi studi, mi sono iscritta al conservatorio Boccherini a Lucca, dove ho studiato con Alberto Bologni (considerato uno dei violinisti più versatili e dotati della sua generazione, ndr). In contemporanea, però, ho iniziato anche a studiare canto. E ho intrapreso questa carriera, che mi ha quasi subito portato all’estero, in Olanda prima e negli Usa poi”.

Ma come si scopre la passione per il canto, per la lirica mentre sta studiando con tanto profitto uno strumento complesso come il violino?

“In realtà non mi scopro la passione per il canto: posso dire di averla sempre avuta. Fra l’altro, anche al conservatorio, tutti i miei insegnanti, compreso Bologni, mi chiedevano: “Canta questa linea…” del brano che stavamo studiando. “Suonala come canti”. E tutte le volte che cantavo, mi dicevano: “Ehi, ma tu devi studiare canto, assolutamente”, evidenziando le qualità della mia voce”.

La bella voce è una dote di famiglia? Ereditata da qualcuno che già canta?

In effetti ho un parente che è stato un artista di spessore, di una certa importanza in Versilia e non solo, soprattutto per la cultura di Viareggio: Egisto Malfatti (un grande nome come chansonnier e protagonista del teatro dialettale) è fratello del mio nonno che, invece, navigava come molti viareggini, eccellenti marittimi”.

Proviamo a ricapitolare: a 6 anni inizia a prendere lezioni violino; poi si iscrive al conservatorio di Lucca, dove arriva al decimo anno di violino, studiando con Bologni. Però, inizia anche a studiare canto. Ma la sua carriera la porta subito all’estero. Come, dove, perché?

“In violino ho studiato a Lucca e mi manca solo il diploma.  Non l’ho preso perché da subito ho iniziato a lavorare all’estero. In particolare, dal 2017 mi sono esibita in modo regolare in Austria al “Tiroler Festspiele” di Erl (un villaggio del Tirolo austriaco, appunto) con il Maestro Gustav Kuhn, già direttore delle più importanti orchestre sinfoniche del mondo e nei più prestigiosi teatri”.

Come arriva, così giovane, ancora studentessa, da Pietrasanta, anzi dal conservatorio Boccherini al prestigioso festival di Erl?

“Proprio grazie al maestro Klun che ha fondato il festival di Erl e anche l’Accademia di Montegral, per la formazione e il perfezionamento di giovani artisti che dal 2000 ha sede a Lucca nel Convento dell’Angelo.

Mi proposero di fare un’audizione a Lucca con il maestro; gli piacqui moltissimo – come mi hanno riferito in seguito – ed è lui che mi ha fornito le basi del lavoro. Dal 2017, a Erl ho potuto affrontare ruoli diversi, prima piccoli, poi sempre più prestigiosi: Tamiri ne Il re pastore di Mozart, Musetta ne La bohème, Cleone in Ermione di Rossini, un Giovane Pastore in Tannhäuser e così via”.

Quindi la prima audizione avviene con un grande maestro e direttore.

“In effetti ho avuto questa grande opportunità, fra l’altro, mentre ancora studiavo. E devo dire che il maestro e sua moglie mi hanno “adottato”, professionalmente e affettivamente: per me sono diventatati la mia seconda famiglia, quella alla quale mi rivolgo anche quando devo valutare scelte di lavoro importanti”.

Però, mentre già iniziava a esibirsi, anche come soprano, lei studiava ancora. Giusto?

“Esatto. Inizio gli studi di canto al Boccherini, ma poi mi trasferisco all’estero. Chiedo un’audizione al Conservatorio di Amsterdam (Classical Voice al Conservatorium van Amsterdam) dove mi ammettono e dove proseguo fino al diploma (con il massimo dei voti).

Vado ad Amsterdam dove incontro un insegnante bravissimo, Don Marrazzo (statunitense, discendente di una famiglia di origini napoletane immigrata in Usa). Con lui in Olanda mi diplomo con il massimo dei voti e la lode e sempre Marrazzo mi fa ascoltare da un manager americano di Img artist. Matthew Horner. Grazie anche a questo incontro, ricevo un invito ad andare a perfezionarmi, al Ryan Opera Center della Lyric Opera of Chicago dove mi diplomo nel 2022, presentando un programma di un’ora e mezzo da concerto (da Bach “La passione secondo Matteo”. a Puccini). Senza alcuna presunzione, ma con una punta di orgoglio, posso dire che il mio è stato il primo 110 e lode dato dopo otto anni. Lo hanno anche annunciato pubblicamente, ma io ero incredula. Pensavo di aver preso un voto assai più basso”.

Cosa accade dopo il conservatorio di Chicago?

“Inizio a partecipare ad alcune audizioni. Dopo l’esibizione per il mio diploma ricevetti un po’ di inviti, tra cui anche a Chicago. E lì vinco il posto nell’Opera studio. Vari. Mi piace ricordare L’Elisir d’amore, “Pamina” ne Il Flauto magico, nella bellissima produzione di Barrie Kosky; ho coperto anche altri ruoli nel biennio 2020/2022”.

Poi perché lascia gli Stati Uniti?

Avevo nostalgia dei palcoscenici italiani ed europei, più adatti a debuttare determinati ruoli d’opera. Nei teatri americani ci sono almeno 3mila posti, non esistono teatri all’italiana.

Di conseguenza, parto e torno in Italia. Ritrovo la mia vecchia agenzia che subito mi procura alcuni ruoli; debutto Traviata a Nantes; Mimì l’avevo già debuttata nel teatro sociale di Como, ho debuttato al Regio di Parma Musetta (e non Mimì) perché ho sostituito una collega all’ultimo momento.

Poi ho cantato a Düsseldorf di nuovo La Traviata e anche qui, per fortuna, è andata bene”.

Sembra quindi le i teatri le stiano imparando a volerle bene. Cosa ha in programma per i prossimi mesi?

Un impegno al quale tengo molto. Al teatro Piacenza, debutterò la trilogia verdiana “popolare”: “Rigoletto (ruolo del soprano: Gilda), Traviata (Violetta), Il trovatore (Leonora) insieme a due colleghi di enorme spessore: il baritono Luca Salvi e il tenore Francesco Meli (entrambi riconosciuti come alcune delle più belle voci a livello internazionale). Apriremo il 29 ottobre: sarà una maratona, tre opere diverse in sei repliche”.

Cosa ha pensato quando le hanno proposto questa produzione?

“Il primo pensiero è stato: “Ce la farò?”. Ma a me piacciono le sfide e quindi ho accettato. Prima di dire di sì, però, mi sono consultata con i miei insegnanti e consiglieri: in primo luogo il maestro Kuhn e Don Marrazzo che ora insegna negli Stati Uniti, ma siamo rimasti comunque in contatto”.

C’è stato nella sua carriera un momento di delusione? O un momento di sconforto nel quale, invece, ha pensato: “Non ce la faccio”?

“Questa è una carriera complicata, che ci porta anche spesso lontano dagli affetti. E quando diciamo lontano, significa davvero lontano, all’estero e per tanto tempo. In più, io non ho una famiglia grande che magari ti permette sempre di avere intorno qualcuno che ami.

Uno dei miei sogni è anche poter essere circondata dalle persone che amo, anche quando sono lontana. Mi chiedo, quindi, se un giorno riuscirò a far combaciare carriera, voglia di casa, famiglia. Chiaramente non è facile portare avanti insieme i due aspetti della vita e a volte, in qualche momento meno facile, ti viene pensato: “Ma chi me lo fa fare”? Ma siccome questo lavoro nasce da un fuoco sacro, io seguo questo fuoco sacro, questo amore perché, comunque, quello per la musica è un amore. E come in tutti gli amori, ci sono anche le delusioni, ma bisogna sempre andare avanti.

Dobbiamo essere consapevoli che siamo esseri umani e che si sbaglia. Si sbaglia molto sul campo, cantando; impari sul palcoscenico, a gestirti, a tenere la situazione sotto controllo, a rimanere lucido, a tenere sempre la mente allenata”.

Un secondo prima di entrare sul palco, qual è il pensiero che le attraversa la mente?

“Se penso ai ruoli che interpreto, dico senza esitazione che il mio ultimo pensiero, prima dell’ingresso in scena è per le persone che amo perché le voglio portare con me. Quindi ogni nota che emetto, ogni parola che pronuncio è dedicata sempre a loro. Per me l’amore è il centro”.

C’è un teatro dove vorrebbe debuttare prossimamente? Dove vorrebbe portare chi ama con sé?

A parte l’emozione di aver cantato a Torre del Lago, a casa, dove è stato possibile avere avuto vicini tanti amici, oltre alla famiglia, è difficile scegliere un teatro, soprattutto in Italia. Penso allo splendore del San Carlo di Napoli, il più antico d’Europa; alla bellezza unica del Massimo di Palermo che è il più grande d’Europa; al prestigio della Scala di Milano. Ma che si può dire? I teatri italiani sono perfetti per cantare e debuttare ruoli. Intanto affronterò le splendide donne verdiane a Piacenza; ma mi piacerebbe anche riprendere Liù nella Turandot che ho debuttato a inizio anno a Taranto. Comunque, anche di ruoli straordinari ce ne sono molti. Nel mio futuro più vicino, ci sarà molto Verdi e Puccini. E molta Italia. Ma penso già a quando potrò, fra una decina di anni, magari, essere Norma”.

Lei, insieme agli altri artisti del cast, ha ricevuto consensi enormi dal pubblico di Torre del Lago. Qual è stato il complimento ricevuto per la sua Mimì?

“Direi quello di un’amica regista che mi ha detto: “Maria Novella, sei stata onesta, quando cantavi””.

Scusi, che cosa significa?

“Nel suo linguaggio significa che si è visto che provavo emozioni reali, mentre cantavo. Emozioni sincere. Allora vuol dire che quello che volevo esprimere, che volevo far arrivare sono riuscita a esprimerlo. Che il mio messaggio è arrivato”.

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