PERUGIA – Nella rete degli aguzzini erano finiti una settantina di migranti, costretti a vivere e a lavorare in condizioni disumane. Reclutati per operare tra l’Umbria, Siena, Arezzo e Grosseto.

Traffico portato alla ribalta dalla procura umbra, che dopo un anno di indagini, con l’ausilio del Nucleo carabinieri ispettorato del lavoro, ha portato all’avviso di quattro persone e all’arresto domiciliare di una quinta: cittadini di nazionali turca e marocchina.

Gli indagati, legati da vincoli familiari e proprietari di due aziende agricole in provincia di Perugia, sono stati accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con violazione delle leggi nazionali sul lavoro e della sicurezza sul lavoro.

Gli inquirenti si sono mossi a seguito di una segnalazione partita da Società cooperativa sociale di Perugia, che lavora nel settore dell’assistenza sociale e dell’aiuto alle vittime di tratta e sfruttamento. L’avviso riguardava un cittadino nigeriano clandestino soggetto a sfruttamento lavorativo e abusi da parte degli indagati.

Da quanto emerso, le vittime erano costrette anche a pagare cifre importanti per un posto letto. I lavoratori venivano trasportati in furgoni affollati dai casolari in cui erano ospitati fino ai campi di lavoro, senza alcun diritto garantito, come pasti, ferie pagate o riposi. Li veniva inoltre negato l’accesso ai contratti e alle buste paga, lasciandoli nell’ignoranza dei loro diritti. Uno dei titolari di un’azienda agricola coinvolta aveva presentato documenti falsi riguardanti la sicurezza sul lavoro.

A questo proposito, la procura ha emesso un decreto di perquisizione contro il centro di formazione che aveva emesso la documentazione, portando all’incriminazione della titolare del centro e di due collaboratori per aver emesso certificazioni di sicurezza fasulle. Nell’operazione sono stati anche sequestrati 230mila euro, oltre ai furgoni per trasportare gli operai.

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