Il dopo Palio di agosto, lascia dietro di sé una serie di considerazioni e riflessioni pubbliche che denotano la passione e l’amore dei senesi per la loro Festa. La città continua ad interrogarsi sugli ultimi accadimenti. Nei giorni scorsi, oltre al blog di Daniele Magrini (Il Palio volgare), abbiamo ospitato un intervento molto apprezzato e condiviso di Simonetta Losi che, qui, risponde ad un post del giornalista Stefano Tesi che dal suo blog “Alta Fedeltà” aveva preso spunto proprio da alcune affermazioni della Losi [leggi].

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(Foto Augusto Mattioli)

Rispondo volentieri al collega Stefano Tesi, che apprezzo e stimo, citandolo a mia volta e sviluppando la sua terza ipotesi, quella che personalmente mi convince di più: «Si lascia da un lato che la gente giudichi come vuole ciò che vede e dall’altro si lasciano i senesi liberi di coltivare e di custodire nel modo che ritengono più opportuno (perché solo loro ne sono i soli interpreti legittimi e consapevoli) la loro tradizione, “cazzotti” e relativi giudizi morali e sanzioni compresi».

Pensare di fermare la tecnologia che “entra” nel Palio – e che stavolta è entrata con un intervento, diciamo così, “a gamba tesa” – è assurdo. Anche solo immaginare di poter vietare telefonini, macchine fotografiche e tutte le diavolerie che rendono possibile la registrazione delle immagini, compresi avveniristici droni e occhiali con telecamera incorporata, rispecchia davvero una mentalità medievale. Inutile, risibile e perniciosa.
Di più: un atteggiamento di cieco rifiuto e di ottusa opposizione è un indicatore allarmante del fatto che non si è capito in che tempi viviamo. Un po’ come i protagonisti di Mediterraneo o come l’anziano del film Lamerica: tutti rimasti indietro nel tempo, tutti fossilizzati su un periodo storico e su avvenimenti che, a loro insaputa, non esistono più. Le due storie cinematografiche hanno un tratto in comune: l’isolamento. Il mito dell’isola felice va bene solo per Peter Pan, perché l’essere tagliati fuori dal mondo produce confini tanto netti quanto irreali, che mostrano tutta la propria ingenua assurdità appena un evento qualsiasi costringe a guardare fuori, a scoprire il cambiamento sopravvenuto e l’avvenuta creazione di una nuova realtà, alla quale ci si adatta o ci si “disadatta”, producendo come effetto l’emarginazione.

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(Foto Augusto Mattioli)

Quando un branco di predatori è a caccia provvede immediatamente a scegliere la preda e isolarla. Per noi umani dotati di raziocinio, mantenersi tagliati fuori dal mondo è un segno di debolezza intrinseca che, come tutti i comportamenti non adattativi, porta alla morte certa: tanto più che Siena, pur non avendo ancora perduto il proprio patrimonio di cultura e i propri tratti peculiari ha irrimediabilmente perduto la propria ricchezza. Ci troviamo, insomma, in una situazione materiale di debolezza oggettiva, che ci rende più esposti e vulnerabili agli attacchi.

Il processo della comunicazione globale è inarrestabile. Questo è un dato di fatto. Cercare di proibire qualunque cosa in questo senso è come pensare di poter fermare un treno in corsa con un dito. Si perde il dito, la vita. E anche il treno.

Che ci piaccia o no (e per moltissimo tempo ci è piaciuto!), dobbiamo convincerci che il Palio è anche un evento mediatico. Ha iniziato ad essere tale ai tempi dell’Istituto Luce e delle prime cronache, radiofoniche prima e televisive poi. Chi pensava di potersi fermare qui, alla diretta della Rai e a qualche documentario, era un illuso e uno sciocco.

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(Foto Augusto Mattioli)

La grande, enorme sfida che ci aspetta è quella di poter intervenire in questo processo, di poterlo in qualche modo gestire senza perdere l’essenza, l’anima, quel prezioso “incomunicabile” che ci contraddistingue, capace di ammaliare chi ci si avvicina con animo puro e che costituisce la magia di Siena e del Palio.

Come Istituzioni cittadine, come senesi e come contradaioli dobbiamo mettere in campo tutta la nostra intelligenza e tutte le nostre energie per trasformare il rischio di una comunicazione vorace e aggressiva in un’opportunità da volgere a nostro favore.

Si tratta – stamani sono in vena di metafore – di avere il coraggio di salirci, su quel treno, portando e imponendo energicamente l’ingombro positivo del nostro enorme bagaglio di cultura, civiltà e valori, senza disperderci in inutili polemiche.

Nel concreto, questo significa fare comunicazione, per non subirla. Sindaco, Consorzio per la Tutela del Palio, Magistrato delle Contrade, che al momento sembrano spiazzati e pressoché inermi, hanno il dovere di prendere posizione, in maniera seria, autorevole, accorta e intelligente.

È necessario e urgente dotarsi di un organismo preposto alla comunicazione diretto da un esperto, che si scelga collaboratori validi, che stabilisca una rete di contatti nazionale e internazionale, che elabori un piano di comunicazione, che faccia uscire informazioni corrette con metodi efficaci. Che trovi e faccia esprimere consensi importanti di persone famose e di altissima levatura scientifica e culturale. Un organismo che divenga un’eccellenza nel campo della comunicazione, che abbia alte professionalità e grande credibilità; che presenti Siena al mondo a tutto tondo, per come è, per le grandi ricchezze di civiltà che ha e non per come qualcuno vorrebbe mostrarla, distorcendo e decontestualizzando alcuni aspetti che “fanno presa” sulla massa.

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(Foto Augusto Mattioli)

Tutto questo avrebbe delle potenzialità e dei ritorni enormi, morali e materiali, per la Città e il territorio.
Accanto a una strategia “di attacco” è necessaria anche una strategia di “difesa”, forte e decisa. Denunce, querele ad personam, a gruppi e organismi, ovunque si rilevino gli estremi per un’azione legale, per creare precedenti che funzionino da dissuasori per chi voglia non discutere civilmente, ma insultare e basta. Il Consorzio per la Tutela del Palio è chiamato a fare proprio questo, in ogni modo possibile previsto dalla legge, che purtroppo nel campo dei social network è carente di strumenti e di regole.

È necessario che, soprattutto all’interno delle Contrade, venga fatta quella che oggi si chiama “moral suasion” e che prima era trasmissione orale con eventuale “nocchino” incorporato, perché ognuno si senta, come deve essere, degno e responsabile rappresentante dei colori che indossa.

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(Foto d’archivio di Augusto Mattioli)

Chi divulga foto o filmati fuori luogo, che decontestualizzati e strumentalizzati possano ledere l’immagine della Città e dei Senesi non è un ganzo. È un gazzilloro, un cretino, o un cretino gazzilloro. Personalmente – qui parlo da contradaiola e da lettrice – trovo incomprensibile che anche testate cittadine serie si prestino a questo gioco avvilente, magari per vendere qualche copia in più.

Riguardo al mondo della comunicazione, in una sarabanda di opinioni Siena deve tornare a fare opinione. Siena è una città dove è ancora pervicacemente possibile dire “noi”. Pensare “senese” significa riscoprire valori umani, entusiasmi, passione, autenticità, identità, solidarietà, emozioni, poesia, incanto. Pensare “senese” significa essere persone diverse e migliori, non certo grazie a un banale “ius soli”, ma perché ancora in sintonia con se stessi, con gli altri, con la propria storia e con i valori eterni dell’Uomo – il senso di comunità, di appartenenza, la memoria, l’idealismo, la solidarietà – che qui non sono vuote parole, ma ancora vita vissuta.

* Giornalista. Collaboratore Esperto Linguistico – Università per Stranieri di Siena

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