«Come in Amarcord di Fellini la nave, il transatlantico Rex, è bellezza in navigazione al suo passaggio davanti a Rimini e mostro in naufragio così in Sorrentino l’immagine della Concordia clamorosamente bella e colorata ma di un’idea della bellezza che non è sostenibile, diventa un mostro marino e naufraga. Non è un caso che Sorrentino abbia proprio ringraziato Fellini». Dopo il trionfo de La grande bellezza di Paolo Sorrentino nella Notte degli Oscar (leggi) a parlare ad agenziaimpress.it del rapporto tra cinema e territorio, tra l’influenza che un paesaggio può avere in relazione al potere evocativo del cinema è il professor Francesco Zucconi, docente all'Accademia Albertina di Torino e membro del Centro Omar Calabrese dell'Università di Siena, esperto di cinema e cultura visuale.

Professore perché secondo lei è stato scelto proprio il Giglio per girare alcune scene del film, una in particolare?  
«Quella che è successa al Giglio è una tragedia, un fatto di cronaca che va oltre l’immaginazione poiché ha coinvolto migliaia di persone ma è anche un grande evento dell’immaginario».
La Toscana è sempre più luogo di set naturali scelti dal grande cinema. Cosa c’è all’origine di questo fenomeno?
«Il cinema delle film commission è qualcosa di abbastanza recente. Negli ultimi dieci anni le regioni, e la Toscana in modo particolare, si sono accorte del potenziale di visibilità offerto dal cinema al territorio. Questo non vuol dire che ciò non accadesse anche prima. Probabilmente è sempre accaduto. Fin dalla seconda metà del ‘900 con il neorealismo che ha aperto i paesaggi italiani a una visibilità internazionale offrendo un riscatto dal punto di vista paesaggistico, urbanistico, storico e morale a un Paese che usciva devastato dalla guerra. Una storia lunga  a cui il cinema italiano ha preso parte da sempre dopo la II Guerra Mondiale».
In questo film viene rappresentato uno scorcio di Toscana gravemente ferito da un fatto di cronaca. In molti altri casi si è scelto di raccontare invece la Toscana da cartolina. E’ una scelta controcorrente del regista?
«Non necessariamente o obbligatoriamente si deve pensare che il paesaggio toscano e senese in modo particolare debba offrire scorci indimenticabili corrispondenti al frame dell’immagine da cartolina o all'esaltazione di ambienti straordinari come le Crete Senesi o della Valdorcia. Nel corso del Novecento, il cinema ha restituito molto spesso le criticità dei territori italiani, senza per questo esaurire il loro fascino».
Quindi nella ricostruzione cinematografica c’è posto anche per il mondo reale?
«Far conoscere un territorio non vuol dire restituire sempre un’immagine da cartolina ma restituire a tutto tondo le sue potenzialità. Pensiamo ad 8½ di Fellini. Chianciano Terme non è solo una città termale bellissima e alla moda ma è anche un luogo in cui il personaggio perde e ritrova la sua identità, è un luogo dell’immaginario».
Sono ancora fresche le polemiche sulla recente campagna pubblicitaria della Regione “Divina Toscana”. Che idea si è fatto?
«Lo stereotipo ha meno efficacia di quello che si crede. Il cinema e le arti, da questo punto di vista, non si pongono nemmeno il problema perché creano immaginario. Ma chi ha la responsabilità di promuovere un territorio dovrebbe saper andare oltre il cliché, mostrarne la complessità e sfruttarne il potenziale inespresso. Occorre rinnovare lo sguardo sui paesaggi per andare oltre lo stereotipo e quindi raggiungere e intercettare nuove persone che di quello stereotipo non sanno più che farne perché ne hanno già usufruito. Ma anche e prima di tutto per noi stessi, che in questo ambiente, quotidianamente viviamo».

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