Ancor prima che si chiamasse Risorgimento ci fu in Italia un fermento culturale che in vari modi prefigurava un’unità di nazione. Nel decennio 1820-1830 il centro indiscusso di questa officina di idee fu Firenze. Basti pensare a cosa significò la nascita del “Gabinetto scientifico letterario” fondato dal ginevrino Giovan Pietro Vieusseux. Un vero e proprio progetto culturale attorno al quale si aggregarono studiosi e uomini di diversa formazione per confrontarsi su temi politici, legislativi, pedagogici, letterari, scientifici. Nel Palazzo Buondelmonti, sede del Gabinetto, si promossero incontri con personaggi quali Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni (che vi giunse con la copia fresca di stampa dei Promessi sposi). In quelle sale – sosta di numerosi stranieri in transito da Firenze – era possibile leggere periodici e giornali inglesi, francesi, tedeschi, italiani. Oppure scegliere dagli scaffali della “biblioteca consultiva” dizionari, bibliografie, atlanti, repertori. Nell’intento di diffondere quanto più possibile la cultura fu ideata anche una biblioteca circolante con il prestito a domicilio di opere contemporanee scelte dallo stesso Vieusseux e indirizzate a discipline da lui considerate fondamentali (storia, geografia, scienze, letteratura, economia, cronache di viaggio).
In un siffatto laboratorio di idee sorse pure la rivista L’Antologia, promossa da Vieusseux e da Gino Capponi, e supportata da molti intellettuali del tempo. La linea editoriale della rivista era quella del superamento dell’ambito municipalistico per porre, invece, l’attenzione sui problemi generali della cultura italiana. Forte di una base di 500 abbonati, L’Antologia ebbe una diffusione assai superiore ad analoghe riviste milanesi (ad esempio Il Conciliatore) contribuendo a formare il concetto di egemonia culturale, nonché a far nascere, in Toscana, una borghesia liberale.
Frequentò quella cerchia di illuminati anche Bettino Ricasoli, convinto assertore della tematica nazionale, al punto di fondare nel 1859 un giornale (non a caso chiamato La Nazione) sulle cui pagine si poterono leggere scritti di Massimo d’Azeglio, Giosuè Carducci, Edmondo De Amicis, Carlo Lorenzini (l’autore di Pinocchio fu un brillante giornalista).
Tutto ciò a ribadire, giusto parafrasando il D’Azeglio, che (fatta l’Italia) per finire di fare gli italiani (operazione a tutt’oggi incompiuta) non sarebbe male un nuovo risorgimento di idee e di elaborazioni culturali. Una sfera pre-politica, insomma, che alla politica potesse offrire sufficienti ragioni di senso.