PISA – Dopo ventisei anni di silenzi e lotta per la verità, è stata posta la parola fine alla tragica vicenda di Emanuele Scieri, 26enne paracadutista di leva trovato morto nella Caserma della Gamerra di Pisa.
Ieri infatti la Cassazione ha infatti reso irrevocabili le condanne per i due ex caporali della Folgore riconosciuti colpevoli di omicidio volontario in concorso del militare siracusano, morto nella caserma Gamerra di Pisa nella notte tra il 13 e il 16 agosto 1999, vittima di un episodio di nonnismo degenerato in pestaggio.
I giudici hanno rigettato i ricorsi delle difese, confermando la sentenza d’appello che aveva ridotto le pene: 22 anni di reclusione per Alessandro Panella e 9 anni e 9 mesi per Luigi Zabara.
Per entrambi, ora, le condanne diventano definitive. I due erano stati indagati con un altro ex commilitone di Scieri ed ex caporale, Andrea Antico, che però aveva scelto il giudizio abbreviato: per lui assoluzione in primo e secondo grado, poi confermata dalla Cassazione a dicembre 2024.
“Finalmente abbiamo chiuso questa pagina tristissima che andava avanti da troppi anni. Io oggi ero in aula, mia mamma no perché non ce la fa più. Ma quando ha ricevuto la telefonata dall’avvocato Ivan Albo è scoppiata a piangere”, le parole di Francesco Scieri, fratello di Emanuele, all’Ansa.
Scieri, 26 anni, laureato in giurisprudenza e praticante avvocato a Siracusa, era stato arruolato nel luglio del ’99 e da pochi giorni era arrivato a Pisa, dopo il corso di addestramento a Firenze. La sera del 13 agosto, dopo una passeggiata in centro con alcuni commilitoni, era rientrato in caserma alle 22.15. Al contrappello delle 23.45 non rispose. Nonostante più di un soldato avesse riferito di averlo visto tornare, il giovane venne segnato come “assente”.
Il suo corpo fu trovato tre giorni dopo, il 16 agosto, ai piedi della torre di asciugatura dei paracadute, un luogo dove – come emerso nel processo – si radunavano abitualmente gli “anziani” della caserma. Per anni la morte di Scieri fu considerata un suicidio. Solo nel 2017, dopo una lunga battaglia della famiglia e il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta, la procura di Pisa riaprì il caso, portando agli arresti di Panella e Zabara.