Il 10 giugno di 46 anni fa terminava la guerra dei 6 giorni, una pagina di storia che avrebbe cambiato per sempre i destini dei Paesi in conflitto nella guerra arabo-israeliana. Un destino che ancora oggi non conosce la parola pace. In questo tragico anniversario che ridisegnò i confini mediorentali e segnò per sempre il futuro di migliaia di persone, qui di seguito un articolo che va a ripercorrere l’esperienza di alcuni videomakers proprio in quelle terre condotta, nel 2009, grazie ad un progetto di cooperazione e che, oggi, ha portato quelle stesse testimonianze in rete con www.wordofpeace.eu
 
Il cavallo di Jenin Un cavallo di lamiera fatto di resti delle auto schiacciate dai blindati, dai carri armati e dai bulldozer dell’esercito israeliano durante l’assedio del 2002. Sul fianco del cavallo, in una di quelle lamiere, la scritta “ambulance”. E’ uno scatto fotografico rubato all’ingresso del campo profughi di Jenin. Sullo sfondo, tra le macerie, un bambino cerca l’equilibrio in bicicletta in bilico tra odio e speranza, tra sopraffazione e rispetto, alla ricerca di quella stabilità che dovrebbe, alla sua età, esser sinonimo di futuro.  Jenin è una città nel nord della Cisgiordania e il significato del suo nome in arabo è “paradiso”. Ma Jenin è invece ritenuto un nido della resistenza ed è la città dove i bambini non sanno dormire. L’equilibrio, solo quello in bicicletta, gli è permesso cercarlo lungo i solchi nelle strade lasciati dai carri armati.
 
Sorriso sul muro di Betlemme Uno sfondo grigio, aspro, crudo, interrotto dalla dolcezza di un sorriso e da due occhi splendenti capaci di catturare quei raggi di luce che il sole trasmette e il cemento mai saprebbe riflettere. E’ il muro di Betlemme sul quale si staglia impavido e incurante il docile appoggio di una ragazza avvolta in un velo bianco. Anche questo è lo scatto rubato nella terra dove barricate e muri provano a fermare la volatilità di un ‘altrove’.
 
Case vuote sulla via di Hebron Una stanza, vuota, arredata di paura con le tracce di una quotidianità abbandonata di fretta, le cose di una vita lasciate in balia dell’odio. Una tenda di fiori che diventa grigia e una bambola gettata in terra che non può sorridere. E’ il volto della fuga, uno dei tanti lungo quella via di Hebron sulla quale avevano deciso di marciare in corteo i coloni armati fino ai denti. E’ lo scatto rubato del tempo, anch’esso, che fugge lasciandosi alle spalle ciò che rimane di quel quotidiano che non conosce domani.  
 
Il progetto di cooperazione Siena-Dura E tante sono le immagini che in Palestina raccontano una guerra di cui si sa ma non si conosce, un conflitto che si trascina nel tempo senza che lasci spiragli concreti di pace, che vive ogni giorno di odio e sopraffazione, di violenza irreprensibile e di disprezzo incomprensibile, che guarda ad un qualsivoglia Alto nei cieli senza riuscire a scorgere, in basso, la bellezza di una terra martoriata dall’uomo. Così come tante sono le immagini che insieme alle parole hanno dato corpo e vita a Word of Peace, un progetto realizzato da Visionaria con il sostegno della Provincia di Siena. Una piattaforma web (www.wordofpeace.eu) che raccoglie come fossero pagine di un unico diario, gli appunti di viaggio di un gruppo di giovani che tra il 2006 e il 2007 sono stati nei territori. Attraverso la loro testimonianza attiva Alessandro Francesconi, Luna Sanchini, Massimo Allulli, Grifone ed altri come loro, parlano di giustizia, uguaglianza e diritto. Nel cuore di quelle terre, c’è anche un po’ di Siena dopo l’attivazione di un progetto di cooperazione del Comune per la città di Dura. Tutto quello che è stato fatto è stato poi documentato con immagini video e fotografie da Visionaria durante il viaggio del 2009 raccontato sul sito dalla voce di Renzo Barbetti, Nicola Continie Nicola Raggi.
 
Armati di telecamera «Partimmo nel dicembre del 2009 per un corso di riprese e montaggio rivolto a giovanissimi aspiranti videomaker del luogo – racconta Nicola Contini -.  Ancora oggi il pensiero va a quei ragazzini che indossavano la maglia del Real Madrid ed adesso vestono i panni dell’impegno sociale. Siamo rimasti in contatto con molti di loro grazie ai social network. Nelle terre di guerra e odio noi eravamo armati delle nostre telecamere e machine fotografiche. Ci aspettavamo immobilismo dettato dalla paura e abbiamo scoperto tanti giovani ricchi di cultura, impegno e voglia di comunicare». Non tutte le immagini girate in Palestina sono arrivate in Italia. Alcune sono ferme a Dura perchè Nicola e gli altri “maestri di riprese” dovettero fare i conti con le guardie Israeliane al loro ritorno e non gli avrebbero permesso di portare in Italia le cassette. «Prima di ripartire fummo interrogati per 4 ore – racconta ancora Nicola – dalle guardie che poi erano solo ragazzi come noi ma intrisi di odio a tal punto che non era concepibile per loro che avessimo fatto amicizia con alcuni ragazzi di Hebron».
 
Ricordi e immagini tra odio e speranza E i ricordi s’imprimono nella testa di Nicola e i suoi compagni di viaggio come le immagini scattate con le macchine fotografiche o quelle catturate con la telecamera. File di alberi tagliati per evitare inboscate, le torrette di controllo di cemento e lamiera dietro le quali non sai mai se si cela qualcuno pronto a spararti, gli sguardi delle persone che incontri. «Ma l’immagine che rimarrà indelebile – racconta ancora Nicola – è quando eravamo a bordo dello scuolabus donato dal Comune di Siena insieme ai ragazzini di Dura. Dovemmo passare diversi posti di blocco e ad uno di questi un soldato israeliano, 19 anni, armato fino ai denti, prese a schiaffoni un ragazzo che era con noi reo di non aver con sè il documento d’identità. Tutto quell’odio mi sembrò assurdo». Un odio che non cancella però le immagini di speranza raccolte nel viaggio specie in tutti quei ragazzini che sanno guardare altrove e cercare altre vie d’uscita ai fucili o alle pietre contro i carri armati.
L’immagine di quel bambino di Jenin in bicicletta che, forse un giorno, sfreccerà in equilibrio perfetto verso la pace lasciandosi alle spalle il cavallo di lamiere.    

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