FIRENZE – Si è chiusa con un’archiviazione l’inchiesta sulla morte di Beatrice Belcuore.
La 25enne allieva maresciallo dei carabinieri che il 22 aprile 2024 si è tolta la vita all’interno della Scuola marescialli di Firenze. La giovane, prossima al termine del secondo anno di corso, si è suicidata utilizzando la pistola d’ordinanza nei bagni dell’istituto.
Le richieste della famiglia e i dubbi mai sopiti
Fin dai primi giorni dopo la tragedia, la famiglia di Beatrice ha chiesto chiarezza sulle cause che hanno portato al gesto estremo, puntando il dito contro l’ambiente della scuola, descritto come eccessivamente rigido e fonte di pressioni psicologiche. In una lettera, i genitori avevano denunciato le condizioni di “forte stress psicofisico” in cui si trovava la figlia, che lamentava spesso con la madre la difficoltà a sostenere le regole stringenti dell’istituto: “Questa scuola mi sta rovinando la vita”, avrebbe confidato la giovane poco prima della morte.
La famiglia, assistita dal sindacato Unarma, ha più volte richiesto ulteriori accertamenti: riesumazione della salma per l’autopsia, analisi approfondite sul cellulare di Beatrice e verifiche su eventuali cancellazioni di dati, oltre a una valutazione più attenta delle condizioni psicologiche della ragazza nei giorni precedenti il suicidio.
L’iter giudiziario e la posizione della Procura
L’inchiesta era stata inizialmente archiviata, ma il provvedimento è stato annullato per un vizio di forma: i familiari non erano stati avvisati della richiesta di archiviazione, come invece prevede la legge. Dopo la ripetizione dell’iter, il giudice ha nuovamente disposto l’archiviazione, accogliendo la richiesta della Procura, che aveva aperto un fascicolo senza indagati e senza ipotesi di reato.
Secondo il giudice, non sono emerse “condotte maltrattanti o persecutorie subite all’interno della scuola” e il gesto di Beatrice sarebbe stato “esclusivamente legato alle notevoli fragilità personali della giovane donna e alla conseguente insofferenza per la propria condizione e per le regole della vita militare”. La scuola, secondo il gip, non avrebbe colpe: nessuno avrebbe mai informato i docenti o i superiori delle sofferenze psicologiche della ragazza, né Beatrice si sarebbe confidata nei giorni precedenti il suicidio.
Le contestazioni della famiglia e l’appello per la verità
La famiglia, però, non si arrende. Lo zio di Beatrice, Davide Belcuore, ha espresso sconcerto per l’archiviazione e ha ribadito la volontà di andare avanti per ottenere risposte: “A nostro avviso sono state ignorate le segnalazioni su quanto succedeva all’interno della Scuola Allievi Marescialli di Firenze, che Unarma già mesi prima del tragico evento aveva denunciato”. La famiglia lamenta anche la mancata esecuzione di esami fondamentali come l’autopsia e il tossicologico, e solleva dubbi sulle modalità della morte, chiedendo trasparenza e terzietà nelle indagini, che sono state condotte dagli stessi carabinieri per un fatto avvenuto all’interno di una struttura dell’Arma.
“Non abbiamo mai accusato nessuno – ha dichiarato lo zio – ma volevamo chiarezza. Questo è un copione che purtroppo si ripete per troppe persone costrette a vivere lo stesso dramma. Lanciamo un appello alle altre famiglie in situazioni simili: uniamoci e cerchiamo giustizia alla Corte europea”.
Il dibattito sulle condizioni nelle scuole militari
Il caso di Beatrice Belcuore ha riacceso il dibattito sulle condizioni di vita e sulle pressioni psicologiche all’interno delle scuole militari. Il sindacato Unarma ha chiesto che venga fatta piena luce sull’accaduto, mentre in Parlamento è stata avanzata la richiesta di istituire una commissione d’inchiesta sui suicidi nelle forze armate e dell’ordine.