afp_5793560_24270C’è una maglia, nel gioco del calcio, che è tra le più affascinanti e le più ambite. E’ l’ultima maglia a disposizione: la numero undici.
Da quando quel numero l’ha indossato Gigi Riva (l’undici per eccellenza), la maglia è stata “sdoganata”, e rappresenta bene il ruolo dell’attaccante. Spesso della seconda punta (che Riva non era) e preferibilmente mancina. Ma Riva era un “unicum”.
Invece il numero undici è un numero fascinoso e complesso, nei meccanismi di una squadra di calcio. E’ il numero che generalmente si prendono gli “irregolari”. Quelli tutto e il contrario di tutto, quelli che non sono né carne né pesce e che fatichi a collocare, ma spesso hanno estro. Ed una gran classe.
“Lo zoppo va all’ala sinistra”, si diceva nel calcio dell’oratorio. Quando non erano consentite le sostituzioni, e volenti o nolenti gli acciaccati dovevano rimanere per forza in campo… Andare all’ala sinistra significava piazzarsi nella zona apparentemente più innocua e più “inutile” del terreno di gioco, e cercare di cavarci qualcosa di buono… E proprio da lì arrivava talvolta il cosiddetto “gol dello zoppo”. Chiedete ai vostri papà e vi diranno che “il gol dello zoppo” è stato, per anni, una regola ferrea e incontrovertibile del pallone.

balo45Ecco. Balotelli è il più classico dei numero undici.
Lo scrivo nel caso si fosse equivocata la stima che ho per il Balotelli calciatore. E perché Super Mario dovrebbe essere non lo “Special Guest” del film, bensì uno strepitoso “Co-starring”.

Un “numero undici”, per l’appunto.

Il fiore all’occhiello, il pepe e lo zenzero di una squadra già fatta e finita che nelle gare più complicate cerca nel suo numero undici il chiavistello capace di aprire una porta chiusa a chiave.
Balotelli non sarà mai un “numero nove”, perché gli mancano i numeri del goleador testuale. E nemmeno un “dieci”, del quale non ha l’inventiva e forse nemmeno i piedi.
E’ invece quello “dell’ultima maglia”. Se il paragone non è irriverente, il Mario Corso della Grande Inter… Una squadra compiuta e perfetta dove il nove lo prendeva Mazzola (O Milani, o Peirò), il dieci rigorosamente Luisito Suarez e a lui toccava appunto la numero undici. E con quella faceva robe da da capogiro, e spesso risolveva i problemi.
La numero undici, nel calcio, è una maglia indefinita. Nel Brasile del 70 toccava a Rivelino, che era il più geniale di tutti (Pelè escluso). Nel Corinthians della “Democracia”, era la maglia di Biro-Biro, né punta né centrocampista ma sempre decisivo. Nella Samp dello scudetto, l’undici era Beppe Dossena, uomo di lotta e di governo, ma tutto fuorchè un’ala sinistra. Nel Milan di Sacchi, Chicco Evani (che risolse un paio di intercontinentali, tanto per gradire), nella Lazio di Maestrelli toccava spesso a Vincenzino D’Amico. Nella Juve ad un cavallo come Pavel Nedved, nel Manchester United ad uno spadaccino come Ryan Giggs. Poi, siccome il mondo è strano, nel Liverpool di Keegan, la davano a Graeme Souness, che ricami non ne faceva e menava come un fabbro.

Balotelli sarebbe quindi un favoloso “undici”. Detto in un calcio che ormai contempla il numero novantanove, il ventitre (in omaggio a Michael Jordan) e il quarantasei (il numero di Valentino Rossi).
E se riuscirà a diventarlo compiutamente, sarà il suo bene.
You’ll never walk alone, Super Mario.

 

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