Il punto di vista di Mario Calabresi raccolto dal taccuino di Erica Vagliengo per il portale di news donnareporter.com con cui la nostra testata ha avviato una collaborazione per assicurare informazioni ancora più complete ai lettori. Il direttore de La Stampa si racconta così nella sua attività di giornalista e corrispondente dall’estero, ma anche nei suoi primi approcci alla professione e delusioni. Ma racconta anche della fiducia che occorre avere come italiani nonostante questo tempo di crisi e della politica che deve «valorizzare le energie migliori». L’intervista completa potete leggerla su donnareporter.com
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Dopo aver letto i tuoi libri viene da pensare che abbiamo bisogno di persone come te, per riconciliarci con un’ Italia esausta che non regala più spazio per sognare, ma che ne avrebbe tanto bisogno. Sei d’accordo?
«Io ho un’idea che l’Italia sia migliore di quella che viene raccontata, specialmente all’estero, così come gli italiani siano migliori di chi li rappresenta. È vero, in giro prevale un grande senso di stanchezza, ma, per contro, è pieno di persone appassionate, che fanno una piccola parte e sono poi quelle che tengono insieme la Nazione, nonostante tutto».

Come potremo uscire da questa situazione, allora?
«È importantissimo partire dalle scuole, dagli studenti, restituendo loro l’idea che il futuro è una cosa possibile, diffondendo l’idea americana che il destino è nelle tue mani,  accettando la sfida di migliorarsi sempre, cercando di coronare un sogno, un desiderio, una passione. La politica, dal canto suo, dovrebbe valorizzare le energie migliori, assecondando la creatività e le idee originali che non rientrano negli schemi, anziché cassarle».

“Spingere la notte più in là” è servito a te, ma anche alle tante famiglie delle vittime del terrorismo. Perché, a tuo avviso?
«Perché ha riconosciuto la sofferenza, il dolore e la mancanza che il terrorismo ha portato. Non si è occupato solo dei terroristi e delle loro ragioni, ma ha riconosciuto il grande vuoto e la grande sofferenza delle vittime. E per me, questa, è la cosa più importante».

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