Possono essere somministrati sia come terapia per neutralizzare il virus che in maniera preventiva per fare da scudo sui pazienti; saranno complementari ai vaccini e si potranno assumere con una semplice iniezione intramuscolare.

Dovremo aspettare ancora qualche mese, il tempo di terminare le sperimentazioni cliniche su pazienti sani e quelli infetti ma la speranza, nella cura al Covid-19, si chiama anticorpi monoclonali. Una ricerca tutta toscana che ha il suo cuore nel Mad Lab di Siena della Fondazione Toscana Life Sciences diretta dallo scienziato Rino Rappuoli.

Emanuele Andreano, 30 anni, è responsabile del progetto Covid Mad Lab, l’unico laboratorio in Europa ad aver scelto un approccio di ricerca basato sull’identificazione e lo sviluppo degli anticorpi monoclonali per combattere il virus Sars-Cov-2. Un giovane ricercatore italiano il cui scopo era quello di combattere una delle più grandi minacce globali per la salute umana dei nostri giorni, la resistenza agli antibiotici. Oggi la sua sfida e quella del gruppo di ricerca guidato da Rappuoli si chiama Sars-Cov-2.

E’ partita la sperimentazione clinica sugli anticorpi monoclonali. Che risposte vi attendete?

Dato che stiamo utilizzando dosaggi molto bassi siamo ragionevolmente convinti che non ci dovrebbero essere problemi. Gli anticorpi monoclonali sono prodotti sicuri, già ampiamente impiegati in terapia tumorale e approvati da tutte le agenzie regolatorie. Recentemente sono stati usati anche per malattie infettive e nel caso dell’infezione da Ebola hanno rappresentato la prima e unica soluzione per terapia e prevenzione. Confidiamo nel fatto che non daranno effetti collaterali.

Quali i tempi per portare a termine la sperimentazione?

La fase 1 si svolge all’istituto “Spallanzani” di Roma e nel Centro di ricerche cliniche di Verona, per verificare la sicurezza dell’anticorpo su persone sane. In questo caso gli anticorpi verranno sperimentati su 30 volontari adulti sani, per verificare l’assenza di effetti collaterali. I primi dati disponibili sono attesi dopo circa un mese e mezzo dall’arruolamento del primo soggetto. Con un positivo rapporto sulla sicurezza del farmaco, si passerà alla fase 2 entrando in un contesto clinico su persone adulte con infezione da Covid19. La fase 2 coinvolgerà centinaia di pazienti infetti per testare, attraverso la somministrazione di quantità diverse, efficacia e potenza del farmaco sulla base del dosaggio. Dai test in vitro e in vivo sappiamo che l’anticorpo funziona ma il risultato vero ce lo darà la clinica.

Se la sperimentazione dovesse dare i risultati attesi, che fase si aprirà?

Al momento è ancora tutto in fase di programmazione. Stiamo agendo in parallelo tra la fase di sperimentazione e l’elaborazione dei dati per ottenere l’approvazione per l’uso terapeutico dell’anticorpo da parte delle autorità. Data l’emergenza, la velocità è tutto. L’ultima parola spetterà comunque alle agenzie regolatorie sulla base dei dati che presenteremo.

Gli anticorpi agiscono sia in modo preventivo che terapeutico?

Assolutamente sì, questo è il grande vantaggio di questo strumento. E possono essere somministrati sia come terapia per neutralizzare il virus che in maniera profilattica: in questo secondo caso gli anticorpi saranno già in circolo e in grado di neutralizzare il virus in poco tempo, anche se sono diversi dai vaccini, come meccanismo d’azione e come durata della copertura.

Monoclonali e vaccini. Che tipo di rapporto dobbiamo aspettarci?

I due strumenti devono esistere e coesistere. Sono due armi ugualmente valide e necessarie per contrattaccare la pandemia. Mentre il vaccino, che ha una funzione di immunizzazione attiva ci mette un po’ più di tempo perché ha bisogno della somministrazione di due dosi a distanza di tempo ma i suo effetti permangono per diversi anni, gli anticorpi monoclonali, invece, sono attivi sin da subito ma la durata dell’effetto può variare dai tre a sei mesi e poi ci sarà bisogno di una dose di richiamo. I monoclonali rappresentano una terapia ma anche uno strumento di prevenzione, per questo si parla di profilassi passiva. L’anticorpo monoclonale è, dunque, capace di garantire un’immunizzazione passiva, come se fosse una sorta di scudo.

L’anticorpo potrà essere somministrato con una iniezione intramuscolare. Quali vantaggi ci potranno essere?

Sicuramente ci saranno grandissimi vantaggi dal punto di vista di procedura di somministrazione vista la situazione emergenziale che stiamo vivendo. Pensi solo che altri monoclonali in uso vengono somministrati con l’uso di flebo. In piena emergenza sarebbe impossibile pensare di gestire lunghe code in ospedale o avere infermieri impegnati per due ore a somministrare una flebo. L’iniezione intramuscolare, al contrario, si può fare da soli o ricorrendo al medico di base. Inoltre ci sarebbe anche un risparmio nei costi per il sistema sanitario nazionale. Minore è il dosaggio, minore è il costo per il sistema sanitario e per i pazienti.

Come agiscono i monoclonali rispetto alle varianti?

Su questo abbiamo da poco pubblicato un manoscritto sulla rivista scientifica internazionale Cell dove si parla dell’identificazione del nostro anticorpo e dell’efficacia rispetto alla variante inglese, oppure rispetto alle mutazioni sudafricane e brasiliane. Abbiamo riscontrato che l’anticorpo da noi selezionato per la terapia è sempre in grado di immunizzare le varianti del virus attualmente note. Da questo punto di vista siamo ragionevolmente convinti che si tratti di un’arma chiave sia sul virus originale che sulle diverse varianti in circolo.

Come è nato il Mad Lab?

Il Monoclonal Antibody Discovery Lab di Fondazione Toscana Life Sciences, coordinato da Rappuoli ha iniziato la sua attività di ricerca a fine 2018 grazie ad un finanziamento europeo di 2,5 milioni di euro per un progetto dedicato alla antibiotico-resistenza. Ma appena è iniziata la pandemia Rappuoli ci ha coinvolti decidendo di avviare una nuova linea di ricerca per dare il nostro contributo su questo fronte. E abbiamo così spostato tutti i nostri sforzi dai batteri al virus Sars-Cov-2. Il team oggi è formato da 17 ricercatori. Sono orgoglioso di avere la possibilità di combattere in prima linea questa pandemia che è stata anche un’occasione di metterci alla prova sia personalmente che come gruppo di ricerca.

Come siete arrivati ad ottenere questo risultato?

L’attività si è concentrata sull’identificazione e lo sviluppo degli anticorpi monoclonali selezionati dal sangue di pazienti convalescenti, curati all’istituto Spallanzani di Roma e all’ospedale di Siena. Una collaborazione che ha portato nei laboratori oltre 4.000 cellule B, dal cui processo di analisi, selezione e sperimentazione sono stati selezionati circa 450 anticorpi. Fino ad arrivare all’individuazione prima dei 3 anticorpi più promettenti e, dopo ulteriori indagini, alla scelta di un unico anticorpo monoclonale: il MAD0004J08.

Come gruppo di ricerca che tipo di responsabilità vi sentite sulle spalle?

Abbiamo il dovere morale di combattere questa pandemia, lo facciamo per il benessere di tutti. La responsabilità è sempre alta e tanta perché in Europa siamo gli unici ad aver scelto questo tipo di approccio di ricerca. Ma l’abbiamo affrontata sempre senza paura: schiena dritta e pedalare.

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