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FIRENZE – Sulla giustizia riparativa, che non è più l’utopia di qualche filosofo del diritto, il sistema toscano è pronto.

“Stiamo attendendo indicazioni ‘gestionali’ dal Ministero e l’attribuzione quindi delle risorse impegnate – spiega l’assessora alle politiche sociali della Toscana, Serena Spinelli -. Ci sono ancora alcuni punti da mettere a fuoco. Ma di fatto siamo pronti per partire”. Il primo centro di giustizia riparativa a sorgere sarà a Firenze: il Comune ha già da dato da questo punto di vista disponibilità.
Di giustizia riparativa, che ha l’ambizione di risanare la frattura tra chi ha commesso e chi ha subito un torto (non di sostituirsi, ma di affiancare il processo penale italiano), si è parlato a Palazzo Strozzi Sacrati, sede della presidenza della giunta regionale, nel corso del primo di tre giorni di convegno dedicato a “Carcere, inclusione sociale, comunità: il sistema delle politiche regionali per la giustizia penale in Toscana”. L’occasione è stata una tavola rotonda per presentare il libro “Oltre la vendetta. La giustizia riparativa in Italia” edito nel.2025 da Laterza e scritto dal magistrato Marcello Bortolato, presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, e dal giornalista Edoardo Vigna: volume che raccoglie il testimone della pubblicazione del 2020 “Vendetta pubblica. Il carcere in Italia”.
La giustizia riparativa, al grande pubblico ancora in buona parte oscura, è oramai a tutti gli effetti una legge italiana.

E’ parte della riforma Cartabia avviata nel 2022, che le ha dato una disciplina organica ampliandone i casi di applicazione, e Regioni e Comuni sono soggetti chiamati da protagonisti ad organizzarne l’architettura, seduti insieme nelle conferenze locali che dovranno lavorare all’apertura dei centri di giustizia riparativa. Obiettivo finale: strutturare programmi che coinvolgono vittima, autore del reato e comunità, per comporre e risolvere le conseguenze del reato ed esprimere emozioni e bisogni, attraverso la partecipazione attiva e consensuale delle parti con l’assistenza di un mediatore. In caso di accordo con effetti positivi anche sull’esito del processo.

“Nel centro che apriremo lavoreranno sei mediatori: questo è il livello essenziale delle prestazioni (il cosiddetto Lep ndr) fissato dal Ministero: dovremo monitorare se questo è sufficiente – commenta l’assessore Spinelli -, i Lep sono stati infatti definiti dal Ministero sulla base delle risorse finanziarie a disposizione e non partendo da un ragionamento sui reali bisogni”.

“Giustizia riparativa non vuol dire dimenticare il reato e chi l’ha compiuto” ricorda ancora Spinelli. Certo è che, sottolineano altri relatori citando Don Milani, “dove c’è troppa punizione finisce la giustizia”. La giustizia non può essere solo punizione. E punizione non vuol dire solo carcere: numeri alla mano oggi in Italia, si ricorda nel corso della tavola rotonda, sono 62 mila i detenuti, altre 100 mila le persone sottoposte a misure alternative e tra 90 e 100 mila i liberi con sospensione delle pena.

“La giustizia riparativa – conclude Spinelli – è uno strumento prezioso che ci è offerto per riaffermare la dimensione collettiva della giustizia e, su un piano più generale, la presa in carico collettiva dei bisogni dei singoli e della comunità, su cui c’è bisogno di investire”. Come insegna l’articolo 3 della Costituzione italiana che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini e affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona urmana.