La squadra mobile di Prato e lo Sco della Polizia di Stato hanno catturato 25 dei 33 indagati colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Firenze Alessandro Moneti nell’inchiesta ‘China Truck’ contro la mafia cinese. Altri otto sono tuttora ricercati e potrebbero essere in fuga all’estero. Due di loro sono considerati soggetti particolarmente pericolosi, già individuati nelle indagini come responsabili di aggressioni con armi bianche.

Le indagini avviate nel 2011 “China Truck” è il nome dell’operazione della Polizia di Stato, diretta e coordinata dalla D.D.A. della Procura della Repubblica di Firenze in corso dalle prime ore dell’alba volta a sgominare un’organizzazione mafiosa cinese, leader in Europa nel campo della logistica e del trasporto delle merci prodotte dalle migliaia di aziende cinesi presenti sul territorio nazionale ed europeo. La lunga e complessa indagine, partita nel 2011 e condotta dalla Squadra Mobile di Prato e dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ha riguardato un’associazione criminale che si è affermata nel controllo del traffico delle merci su strada, settore imprenditoriale nuovo e diverso dai consueti investimenti cinesi in Occidente (nel campo della ristorazione, tessile, commercio, ecc.,). Egemonia nel campo della logistica imposta con metodi mafiosi ed alimentata dagli introiti provenienti da attività criminali tipiche della malavita cinese come estorsione, usura, controllo del gioco d’azzardo, della prostituzione, dello spaccio di stupefacenti.

Organizzazione internazionale L’organizzazione criminale, composta da soggetti originari dello Zhejiang e del Fujian, operava non solo in Italia ma in tutta Europa e ha affermato la propria supremazia assoggettando aziende di connazionali operanti nello stesso settore a Prato, Roma, Padova, Milano, Parigi, Neuss (Germania), Madrid attraverso la forza dell’intimidazione e della violenza. L’indagine ha portato a ripercorrere, anche sotto la luce del vincolo associativo, episodi violenti avvenuti a Prato e in altre province italiane, e a ricostruire le diverse responsabilità in ordine alla pianificazione dell’attività criminale.

54 indagati A seguito delle indagini, sono state indagate 54 persone, di cui 33 destinatarie di misura cautelare in carcere per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis) e altri reati, mentre altre 21 persone sono state indagate, in stato di libertà, e tra questi, 10 persone sempre per art. 416 bis e 11 persone per altri reati. A Prato sono presenti 25 indagati, 16 destinatari di misura e 9 indagati a piede libero. A Roma 10 indagati, 8 destinatari di misura e 2 indagati a piede libero, a Milano e Padova c’è una persona per provincia destinataria di misura, a Firenze 4 indagati in stato di libertà, a Pisa 3 indagati in stato di libertà. Si trovano già in carcere per altra causa tre persone destinatarie di misura cautelare, mentre una quarta persona già ristretta risulta solo indagata. Due misure cautelari sono in corso di esecuzione in Francia, a carico sempre di cittadini cinesi, mentre altre due persone sono indagate in stato di libertà. Gli ultimi due destinatari di misura cautelare si trovano infine, in questo momento in Cina. Sono stati anche disposti i sequestri preventivi di 8 società, 8 veicoli, due immobili e 61 tra conti correnti e deposito titoli, per un valore economico complessivo di alcuni milioni di euro.

Il plauso del sindacato «Ringraziamo gli inquirenti e le forze dell’ordine per il lavoro svolto, l’indagine dimostra che, come diciamo da tempo e abbiamo scritto nel Protocollo per il lavoro dignitoso e la legalità, siamo di fronte a un “sistema” di produzione illegale che investe nell’economia legale. E che come tale va affrontato». Lo dichiara Massimiliano Brezzo, segretario della Filctem-Cgil di Prato. «Oggi – continua Brezzo – è palese che quanto lavorato a Prato non viene ‘liberamente’ trasportato. Siamo sicuri che venga ‘liberamente’ prodotto? Le modalità di lavoro e le retribuzioni ‘etniche’ ci fanno dire di no!. E siccome le indagini durano anni che non possiamo permetterci – conclude Brezzo – bisogna interrompere il flusso di denaro sporco impedendo da subito che si creino e si reinvestano ricchezze enormi sulla pelle di persone fatte lavorare e pagate in quel modo».

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