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Deborah Parker

«Siamo alla quarta generazione di rifugiati. Non ha più alcun senso parlare di emergenza: serve investire in competenze.  Perche’ i profughi palestinesi che vivono nei campi in Libano hanno diritto al ritorno alla propria terra, certo. Ma hanno anche diritto al ritorno alla liberta’, alla dignita’». A parlare è Deborah Parker, musicista e musicoterapista, che  a Montespertoli dirige il programma di community music di Prima Materia, ed e’ la coordinatrice del progetto di cooperazione internazionale “Music and Resilience”, che si occupa di sviluppare interventi di musicoterapia nei campi dei rifugiati palestinesi del Libano.

profughi_libanoIl progetto “Music and Resilience” e’ nato da una richiesta specifica di Beit Atfal Assumoud, ong costituita nel 1976 per far fronte all’emergenza delle migliaia di giovanissimi profughi palestinesi resi orfani dalla guerra civile in Libano. «Ci hanno chiesto di introdurre la musicoterapia nelle cliniche di salute mentale dei Fgc, i Family guidance centres, centri di consulenza per le famiglie – ha ricordato Parker – Assumoud e’ stata la prima ong a occuparsi anche di salute mentale. Oggi porta avanti cinque cliniche, con un team di psicologi, pedagogisti e assistenti sociali, e nel 2011 ha coinvolto anche noi. Ma quando siamo nei campi non facciamo ‘solo’ corsi: ci occupiamo di formazione, aspetto altrettanto importante». La domanda da cui Parker parte e’: «Una volta che noi ce ne saremo andati, cosa succedera’ alle persone con cui abbiamo lavorato? Per questo formiamo educatori che possano proseguire i nostri progetti quando noi non ci siamo, e chiediamo ai nostri partner di investire in figure locali: uomini e donne palestinesi, sono loro che vogliamo coinvolgere. Non e’ semplice, considerati i pochi diritti di cui godono».

L’antropologo: «Hanno spostato un pezzo di Palestina in Libano» Quanto alla parola “resilience”, si tratta di una diretta citazione di Assumoud, che in arabo significa proprio “resilienza”: in un contesto socio-politico precario che minaccia l’equilibrio psico-fisico delle persone e della comunita’, essere resilienti indica la capacita’ non solo di sopravvivere, ma soprattutto di salvaguardare un senso di identita’. «Resilienza significa essere in grado di adattarsi a un ambiente senza perdere di vista il ‘progetto d’origine’», sintetizza Parker. Dopo la guerra israeliana del 1948, in Libano sono nati 15 campi profughi palestinesi, per un totale circa 100.000 palestinesi accolti. «Hanno mantenuto i nomi dei loro paesi e delle loro vie, le loro tradizioni, il loro abbigliamento e il loro cibo. In pratica, hanno spostato un pezzo di Palestina in Libano», ha spiegato Dario Gentili, antropologo colonna del progetto. Oggi i campi sono 12, tre sono stati rasi al suolo, e ospitano 400.000 profughi palestinesi, che non hanno diritto allo stato sociale, che non possono svolgere le professioni che prevedono una formazione, che non hanno accesso all’istruzione e alla sanita’ pubbliche. «Questo perche’ la societa’ libanese e’ strettamente confessionale: i ruoli piu’ importanti sono ricoperti da cristiani maroniti. Al secondo gradino ci stanno i musulmani sciiti e sunniti. I palestinesi sono quasi tutti sunniti: se anche a loro venissero riconosciuti i diritti dei libanesi, le tre confessioni non sarebbero piu’ in equilibrio».

L’appello E se all’inizio di quei diritti mancanti se ne occupava Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi del Vicino Oriente, oggi i fondi a disposizione sono sempre meno. Ed e’ a questo punto che arrivano Assumoud e le altre ong che fanno quello che l’Onu non riesce piu’ a fare: curare i servizi: sanitari e scolastici. Oggi il Libano conta circa 4milioni di abitanti, a cui si aggiungono 400 mila profughi palestinesi e un milione e 200 mila rifugiati siriani. In pratica, una persona che vive in Libano su 3 e’ un rifugiato: «Noi facciamo musica per i palestinesi li’ da 70 anni e per i siriani arrivati di recente- ha continua Gentili- ne approfitto anche per lanciare un appello: tutto il nostro lavoro e’ su base volontaria. Percio’, chiediamo una mano sia per la raccolta fondi sia per il reperimento di strumenti musicali da portare nei campi. Strumenti rigorosamente usati, magari coperti di polvere in una vecchia soffitta. Strumenti richiedenti asilo, insomma».

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