FIRENZE – La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il divieto di concessione di permessi premio agli autori di reati ostativi che non abbiano, per scelta, collaborato con la giustizia (sent. 253/2019) impone l’apertura di un dialogo interdisciplinare sugli strumenti e i criteri per l’osservazione scientifica della personalità, in grado di diventare patrimonio condiviso tra tecnici del trattamento (psicologi, educatori e assistenti sociali) e magistratura di sorveglianza.

E’ quanto emerso dal convegno “L’osservazione della personalità di fronte alla complessità dei reati ostativi – appartenenza mafiosa e valutazione della pericolosità in assenza di collaborazione con la giustizia” ospitato dal Comune di Firenze, al Fuligno, e che ha visto la collaborazione fra l’Ordine degli psicologi della Toscana, l’Università di Ferrara e Macrocrimes con il patrocinio del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, di Avviso Pubblico e dell’Ordine degli Assistenti Sociali.

Secondo quanto emerso dalla giornata di confronto interdisciplinare fra psicologi, assistenti sociali, giuristi e avvocati, a cui hanno preso parte, tra gli altri anche l’assessore del Comune di Firenze Sara Funaro e, in collegamento, il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi David Lazzari, il presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze Marcello Bortolato, la complessità della valutazione di detenuti con reati ostativi impone il dotarsi di criteri e linee guida per uscire dalla soggettività e come garanzia di sicurezza; necessario, inoltre costruire un linguaggio condiviso fra il mondo giuridico e quello psichico.

In particolare, le decisioni giudiziali sull’accesso a percorsi di progressiva risocializzazione all’esterno del carcere, sinora impedite dalla legge per i condannati per mafia, terrorismo e altri reati di criminalità organizzata, sono oggi possibili a condizione che venga effettuato un penetrante vaglio sulla pericolosità del detenuto, in grado di escludere l’attualità dei legami con il gruppo criminale di appartenenza e il rischio del loro ripristino.

“Il convegno – sottolinea la presidente dell’Ordine degli psicologi Maria Antonietta Gulino – ha avuto l’obiettivo di muovere dai punti deboli della cornice giuridica di riferimento per poi soffermarsi sui profili teorici e metodologici che coinvolgono più propriamente la categoria professionale degli psicologi, chiamati a fornire un soddisfacente patrimonio conoscitivo alla magistratura di sorveglianza. Il dibattito potrebbe rappresentare la base di partenza per tracciare eventuali linee guida per l’osservazione della personalità prevista dall’ordinamento penitenziario, che tengano conto dei modelli di risk assessment sul rischio di recidiva. Gli spunti che verranno offerti potrebbero fornire altresì un rilevante apporto tecnico per le riforme legislative in cantiere, con particolare riguardo alla valutazione della pericolosità dei condannati per mafia e all’individuazione di parametri alternativi alla collaborazione con la giustizia sintomatici della rottura con l’ambiente criminale di provenienza”.

La magistratura di sorveglianza, per compiere valutazioni così delicate, necessita del contributo delle categorie professionali coinvolte (educatori, psicologi, criminologi), investite del difficile compito di esplorare un terreno poco battuto proprio in ragione delle preclusioni normative sinora vigenti. La questione è divenuta ancora più urgente a seguito dell’annunciata pronuncia costituzionale sull’“ergastolo senza speranza” per i condannati per reati di mafia non collaboranti, imminente se il legislatore non rimette mano all’attuale disciplina (ord. 97/2021). È quindi tempo che giuristi e tecnici del trattamento (psicologi, educatori e assistenti sociali) si confrontino su una materia così complessa e controversa, anche in vista di possibili contributi al dibattito parlamentare in corso.

 

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