Le elezioni amministrative del giugno scorso hanno segnato il definitivo tramonto della “subcultura territoriale rossa” e con essa la fine dell’egemonia politica di un partito, il Pd, che trae origine dalla lunga transizione di Pci/Pds/Ds. Si aprono, pertanto, scenari “multicolor” anche per la Toscana, dove ogni elezione può avere esito incerto e dove ogni volta la poltrona di sindaco (o presidente di Regione) può essere contendibile. Molteplici e complesse le cause della trasformazione. Senz’altro la prima è la normalizzazione delle regioni un tempo “rosse” rispetto alla partecipazione elettorale, ormai in linea con le altre. Ma il principale è la fine della supremazia del partito-guida e la nascita del tripartitismo che, in Toscana, significa, soprattutto, liste civiche.

primarie-pd_650x447.jpgRegioni rosse al bivio con la storia «È arrivato il tempo di pensare a strumenti e concetti nuovi per interpretare il presente, anche perché a forza di “piegare” le categorie vecchie sulla realtà esistente, il rischio è di non vedere le trasformazioni reali che stanno avvenendo sotto i nostri occhi». È sufficientemente impietosa la relazione di Marco Valbruzzi e Mario Marino, “C’era una volta la zona rossa”, pubblicata all’interno dell’analisi dell’Istituto Cattaneo di Bologna, “Cambiamento o assestamento?”, in merito ai risultati delle recenti elezioni amministrative. Una disamina elettorale che un tempo sarebbe stata fatta nelle Federazioni regionali e provinciali dei partiti e quindi trasmessa alle sezioni e ai circoli. E che oggi, forse, è stata derubricata a qualche Post o commento sui Social, che però non aiutano a comprendere i fenomeni complessi in corso. E, dunque, nemmeno a superarli. Merita, dunque, attenzione questa ricerca accurata che pone la Toscana e le regioni rosse ad un bivio. E che consegna, forse per sempre, la loro storia repubblicana alla storia.

partito democraticoStoria della “subcultura” in Toscana «Per lungo tempo – evidenziano i ricercatori – hanno dominato le “subculture politiche territoriali”, nel Nord est (Veneto in primis) la Dc e nelle regioni rosse (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche) il Pci, con i successivi Pds/Ds e poi Pd. Ciò che caratterizzava quelle due zone di influenza partitica, non era però soltanto il ruolo elettoralmente dominante o, a tratti, egemone dei partiti di massa. Dietro, o al di sotto, di quelle organizzazioni partitiche, esistevano strutture associative collaterali, agenzie di socializzazione (parrocchie e case del popolo, circoli e sezioni di partito, famiglie e cooperative), attività educative o ricreative che servivano a forgiare/rafforzare, anche attraverso un potente apparato simbolico, un senso di appartenenza che trascendeva l’individuo. Anzi, che lo “incapsulava” in realtà più ampie, in vere e proprie (sub)culture politiche capaci di orientarne i comportamenti sociali e politici. Oggi, nonostante un dibattito in realtà mal posto sulla loro sopravvivenza o resilienza, quelle due subculture politiche in realtà non esistono più. Al massimo se ne possono ancora individuare i resti sparsi sul territorio, come tracce di un passato ormai consegnato alla storia».

La crisi ha interrotto la “guida” Tralasciando i motivi che hanno portato il nord est dal passare dal bianco della Dc al verde della Lega (nuovi ceti emergenti che non si riconoscevano ormai più nella Balena Bianca) è interessante l’analisi sulla nostra Toscana, dove il Pci e i suoi eredi hanno gestito la società in altro modo, non limitandosi a fare da “intermediario tra diversi interessi, ma governando attivamente “il cambiamento”, attraverso un forte intervento pubblico a sostegno dell’economia e delle comunità locali. Intervento che oggi, con la crisi economica che perdura da venti anni e colpisce in modo duro ormai dal 2008, è praticamente venuto meno. «E quando gli spazi di manovra per l’intervento pubblico si restringono, le possibilità per un partito di sinistra di “guidare” l’economia e mantenere il consenso diminuiscono drasticamente».

urne_2.jpgNormalizzazione in corso In questa ottica va letto il risultato alle elezioni amministrative del giugno scorso che hanno coinvolto quasi 1 milione e 700mila elettori in 116 dei 941 Comuni nelle quattro regioni della cosiddetta «zona rossa». Tra quelli andati al voto, 19 avevano una popolazione superiore ai 15.000 abitanti, mentre i restanti 97 inferiore. Il primo dato che colpisce è la “normalizzazione” dei votanti. Un tempo queste terre erano sempre al di sopra della media rispetto al resto d’Italia, segno di un grande senso civico e partecipazione collettiva. Questa volta in Toscana hanno votato “solo” il 63,4% rispetto al 73,2% della volta precedente (nelle regioni “rosse” il 65,2%, in Italia il 61,9%). Rimane, dunque, ancora un certo distacco rispetto alla media nazionale ma il calo di dieci punti è significativo e forse non più recuperabile. A breve questo trend finirà per rendere la Toscana omogenea al ribasso, in termini di partecipazione, alle altre regioni italiane.

Un sindaco ogni due al centrosinistra Poi, a colpire è il risultato elettorale. Complessivamente, il centrosinistra nelle regioni rosse è la coalizione che ha subìto le perdite più consistenti, passando dal controllo di 83 comuni (71% sul totale) a quello di “soli” 58 (50% sul totale), mentre il M5S ha conquistato 3 comuni, ma prima delle elezioni non ne controllava nessuno. Le liste civiche, invece, hanno compiuto un notevole balzo in avanti, passando da 10 a 20 comuni (17,2% sul totale, con un balzo di 8,6 % sul 2011), così come la coalizione di centrodestra che è riuscita a prevalere in 35 comuni, mentre prima ne controllava 23 (30,2% sul totale, con un balzo di 10,4% sul 2011). In Toscana, il trend individuato viene in buona parte confermato: il centrosinistra perde 6 comuni, tra i quali un capoluogo di provincia (Grosseto), passato al centrodestra, e altri 3 comuni superiori (Montevarchi, Sansepolcro e Cascina). Senza considerare il caso di Sesto Fiorentino dove la Giunta è passata dal Pd a una coalizione di sinistra: «una sorta di cambiamento nella continuità, cioè nel solco comunque dell’universo di centrosinistra». Complessivamente, sebbene il centrosinistra confermi la sua presenza nelle giunte di molti comuni toscani (16 su 26), è notevole la contrazione netta rispetto al 2011, quando vinse in 22 competizioni comunali. Se prima delle elezioni il Pd controllava quasi l’85% dei comuni chiamati al voto, oggi ha un suo Sindaco “soltanto” nel 61,5% delle città, segnando così una riduzione di quasi 24 punti percentuali, addirittura superiore rispetto a quelle registrate in Emilia-Romagna o nelle Marche.urne.jpg

Vantaggio competitivo per il centrosinistra «In sintesi, pur tenendo conto delle differenze interne alla “subcultura politica territoriale rossa” e, soprattutto, del fatto che queste elezioni amministrative erano un test che riguardava una piccola parte degli oltre 900 Comuni presenti nelle quattro Regioni, il dato complessivo che emerge è che il principale partito di sinistra un tempo egemone perde progressivamente pezzi e cariche nel governo locale». Dopo giugno, soltanto la metà dei comuni coinvolti nelle votazioni è gestita dal centrosinistra, mentre l’altra metà è nelle mani di quei partiti o coalizioni che non hanno nessun incentivo e nessun interesse a mantenere in vita quel tipo particolare di “sistema politico locale” che ha caratterizzato l’intera “zona rossa”. Finita l’epoca dell’egemonia assoluta, sembra essere compromessa anche l’era del predominio di un partito radicato e presente sul territorio. Tutt’al più, oggi si può parlare di un “vantaggio competitivo” per i partiti del centrosinistra, ma che, in tempi di crescente tripolarismo, rischia di essere messo seriamente in pericolo dal meccanismo del ballottaggio.

liste-civicheBallottaggi, “tutti contro il Pd” Nei Comuni dove si è andati al secondo turno, il centrosinistra era presente praticamente in tutti ma i risultati sono stati piuttosto deludenti. Solo in 5 casi (su 17 totali) ha riportato una vittoria, ma il dato da evidenziare è che il centrosinistra perde contro tutti i suoi sfidanti: 4 a 8 contro il centrodestra, 1 a 2 contro le liste civiche e 0 a 1 sia contro il M5s che in opposizione, come nel caso di Sesto Fiorentino, ad una lista della sinistra radicale. Quindi, se il M5s, com’è stato detto, è una “macchina da ballottaggio”, il Pd, anche assieme a vari alleati, è l’esatto opposto, e cioè una coalizione più incline alla sconfitta nel secondo turno di votazione. Fino a quando la competizione aveva un formato bipolare, la partita si giocava soprattutto all’interno dei due schieramenti, ma il tripolarismo ha innescato due nuove dinamiche elettorali che possono rivelarsi esiziali per un partito abituato ad essere dominante all’interno di un determinato territorio. E a prevalere è il “voto contro” piuttosto che il “voto per”, che nel caso del Pd significa trovarsi tutti gli antagonisti alleati contro.

Fine delle “regioni rosse” Le Regioni «rosse», che un tempo erano considerate il simbolo della stabilità politica e partitica, oggi sono diventate la zona politicamente più incerta, dove le rimonte elettorali ai ballottaggi sono così frequenti da superare il 55% dei casi. Se due indizi fanno una prova, le elezioni amministrative del 2016 offrono pochi motivi di speranza per chi pensava che la subcultura politica rossa stesse solamente passando una fase di trasformazione in vista di un nuovo adattamento. La trasformazione c’è, ma il finale assomiglia di più ad un azzeramento che ad un adattamento della precedente esperienza politica.

renzi-leopolda-2013Regioni, futuro in multicolor L’insieme di queste trasformazioni rende le Regioni sempre più “contendibili” politicamente e sempre meno rosse. «Anche per questa area dell’Italia centrale sembra cominciata la fase di una politica multi-color o, forse, senza colorazioni, dove tra territorio e politica non esiste più un legame inscindibile, ma solo qualche incontro più o meno occasionale».

Ansia da cambiamento e rottamazione «Quando l’“ansia di cambiamento” – per usare la stessa espressione del presidente del Consiglio Matteo Renzi – raggiunge un’area geo-politica che faceva della stabilità politica e della continuità elettorale la sua cifra caratteristica, i primi ad essere cambiati  – potremmo dire “rottamati” – sono proprio gli esponenti di quel partito di centrosinistra su cui si reggeva la tradizionale “subcultura rossa”.

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