Economia e finanza. Materie per pochi che influenzano la vita di molti. Nell’epoca dello spread e nella quotidianità dettata dalla Borsa e dall’andamento delle risorse di casa, il denaro vince sul sociale in una lotta impari tra beni e bisogni in quella scala di valori, diversa per ciascuno di noi, che è preoccupazione, interesse, presente e futuro. Ecco come politica e finanza s’intrecciano in un vortice travolgente; economia, sociologia e cultura si mescolano facendo spesso perdere i punti di riferimento che sono, o dovrebbero essere, capisaldi di un vivere comune e quotidiano. In questa misura di valori, etici quanto tangibili, ci siamo persi con Roberto Renò, docente di Matematica Finanziaria all’Università degli Studi di Siena.

Qual è la differenza tra economia e finanza?
«La finanza è l'ambito dell'economia che studia l'allocazione del denaro. Un tipico problema economico è: cos'è la moneta? Un tipico problema finanziario è: quanto debito deve contrarre un'azienda per essere competitiva? In realtà il confine della finanza all'interno delle discipline economiche è difficile da definire. Uno dei motivi è che, per molti economisti, i mercati finanziari sono come un laboratorio sperimentale per un biologo, contengono informazioni con le quali confutare le loro teorie per proporne di nuove».

Al tempo di un'economia che detta tempi di vita e di politica, quali sono i risvolti sociali di questo fenomeno?
«L'avvento della tecnocrazia, in Italia e in Europa, è indice dell'abdicazione della politica rispetto ai temi economici. In questo momento storico la cosa non è necessariamente negativa, anche perché la classe politica non si è comportata nel migliore dei modi. Dal punto di vista sociale però, questo fenomeno è pericoloso. La politica serve non solo a decidere la politica economica, ma anche a costituire un'identità dei cittadini che dia loro dignità e fiducia. Se la politica non interpreta questo ruolo, i cittadini, le famiglie e le aziende tornano ad essere alunni sui banchi di scuola dei professori tecnocrati, anziché adulti che partecipano attivamente allo sviluppo economico e sociale. Io spero che torni presto una buona politica, che sappia trattare i temi economici con la dovuta competenza, ma che sappia anche ricostituire il tessuto sociale che in ampie parti del Paese si va lacerando».

Anche la cultura è condizionata dai sistemi economici? O il sistema economico sta prendendo piede anche nel settore culturale?
«Vedo un'innegabile crescita nell'interesse nelle discipline economiche, simile a quello che, con altre scienze, si è riscontrato in passato. L'impatto della scienza sulla cultura e sulla letteratura è un connotato della modernità. Per l'economia ciò avviene più lentamente, anche perché è una disciplina ancora giovane rispetto a campi di studio dalla tradizione millenaria (filosofia, diritto, fisica, matematica). Non esiste ancora una “sezione aurea” o una “teoria dei frattali” o un “teorema dei numeri primi” dell'economia, capace di influenzare l'arte, l'architettura o la letteratura; c'è ancora un diffuso pregiudizio secondo cui l'economia sarebbe una scienza gretta e poco affascinante, meno disinteressata delle altre scienze e quindi meno poetica. In realtà questo non è vero; ma perché ciò sia assimilato dalla società occorre altro tempo”.
Sono economia e finanza a governare di fatto gli Stati, a condizionare le democrazie, a rendere impossibili certi principi di eguaglianza tra popoli, individui, società?
“Io non credo che sia così. I cittadini vogliono innanzitutto lavorare, è un desiderio e un diritto sancito nel primo articolo della carta costituzionale. Per questo la politica economica è percepita come l'assoluta priorità. Senza un lavoro è molto difficile pensare a uguaglianza e tolleranza. Ma a creare le diseguaglianze è sempre la cattiva politica. Per cattiva politica intendo non soltanto la corruzione delle classi dirigenti, ma anche la diffusa ignavia dei cittadini, che spesso sfocia in qualunquismo. L'economia e la finanza dovrebbero essere il punto di arrivo di questo processo, non il viceversa. Se accade il viceversa, è perché la politica, nel suo complesso, è stata inadeguata».

Addirittura la finanza sembra ormai prevalere sulla stessa economia. Ma la finanza produce ricchezza solo per chi è già ricco?
«Ad un'analisi superficiale, potrebbe sembrare che sia così. In realtà un ragionamento più approfondito dimostra che la finanza produce ricchezza per tutti. E' noto come le società più ricche siano quelle in cui c'è più finanza, non meno. Per intuirlo, basti pensare all'erogazione di un mutuo. Potremmo comprare una casa da un costruttore senza un mutuo? No. Senza mutuo, la casa non ci sarebbe, nessuno la costruirebbe. Col mutuo, la casa viene costruita, gli operai lavorano, si crea valore per tutti, e non solo valore economico. Gran parte della finanza, anche i famigerati derivati, si basa sui mutui, che sono operazioni molto più complesse da gestire di quanto si possa immaginare. Inoltre, il mondo della finanza è fra i più meritocratici che io conosca. Conosco moltissime persone che, provenendo da ambiti sociali modesti, hanno raggiunto posizioni di assoluto rilievo in finanza con le loro sole forze. Fatico a pensare ad altri ambiti in cui questo sia vero. E' anche vero che dovremmo chiederci perché abbiamo permesso che molte menti brillanti finissero a lavorare nel settore finanziario. E' chiaro che il sistema è adesso in uno stato di degenerazione. Gli strumenti creati per gestire il rischio sono stati usati per guadagnare ingenti profitti quando andava bene, scaricando i costi di quando è andata male sulla collettività. Chi doveva controllare non lo ha fatto, perché incapace o colluso col sistema. Le banche ora concedono sempre meno mutui e prestiti alle imprese, il sistema si è inceppato e le diseguaglianze sociali sono aumentate. Ma io penso che si esca da questo stallo non ricorrendo a una forma di neo-luddismo finanziario, ma invece regolamentando la finanza perché faccia il suo mestiere, che deve essere quello di olio lubrificante per il motore dell'economia».

Il denaro, più che “misura dei valori” nella struttura economica, sembra diventato soltanto la misura di quanto e come si possa possedere il mondo. Ma non è, questa, una mercificazione (e un'alienazione) dell'esistenza umana, una distorsione culturale e del vivere sociale?
«Considero il rapporto col denaro una scelta individuale. Credo che le persone abbiano bisogni del tutto legittimi: una casa, un lavoro, cibo e riscaldamento, cultura e informazione. Soddisfatti tali bisogni però, non interessa guadagnare di più, o per lo meno non a qualsiasi costo. Io penso che per la maggior parte delle persone, soprattutto qui a Siena, sia così. E' vero che, per alcune persone, il denaro guadagnato può misurare il valore dell'esistenza. Ma è una pia illusione, e anche un po' infantile: presto o tardi, chiunque si rende conto dell'errore di scambiare i mezzi con i fini. C'è chi ci arriva prima e chi ci arriva dopo. Non credo si possa fare molto per “accelerare” questo processo».

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